Cesare il conquistatore

A Roma la prima rassegna sul carismatico "dictator". Oltre duecento opere su una figura poliedrica, diventata un mito lungo i secoli.
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«Ei si nomò. Due secoli/ l’un contro l’altro armato/ sommessi a lui si volsero/ come aspettando il fato/. Ei fe’ silenzio ed arbitro/ s’assise in mezzo a lor». Tornano immediati alla memoria i versi del 5 Maggio manzoniano, dedicati a Napoleone, visitando l’esposizione su Giulio Cesare, che il Corso, come altri nella storia, considerava modello di vita e di progetti.

In effetti questo patrizio romano, figlio della gens Julia – cioè di un clan familiare che si vantava di discendere da Venere (ottimo biglietto da visita nella società dell’epoca) –, come e forse più di Napoleone si situa come punto di separazione non di due secoli, ma di molti secoli, di un intero modo di vivere e di concepire la politica, la cultura. La storia, in definitiva.

Cesare, che inizia l’attività politica con cautela, astutamente salvandosi durante le guerre civili del I secolo a.C., è personaggio complesso. Letterato e soldato, “pontefice massimo”, cioè capo religioso e politico, arriva gradatamente a scavalcare il gruppo dirigente della repubblica – il Senato – per diventare dictator a vita, cioè in pratica, sovrano. È questo il motivo per cui una congiura, che vede in lui un sovvertitore della tradizione, lo uccide il 15 marzo del 44. Da qui parte l’esaltazione di Cesare, il suo mito – che lui stesso ha coltivato tenacemente in vita – come anche un’altra guerra civile, da cui esce vincitore proprio il nipote Ottaviano. Egli, che si farà chiamare Augusto, porta alle estreme conseguenze, ma con maggior tatto di Cesare, il progetto dello zio: fare dei popoli che si affacciano sul bacino del Mediterraneo una unica entità statale, multinazionale, governata da uno solo come simbolo d’unità. Garantito dalla “divinizzazione”, non più post mortem – come per Cesare –, ma in vita. Un atto quindi religioso-politico insieme, perché nel mondo antico non esiste una separazione tra le due sfere.

 

Cesare pensava in grande. Certo, era ambizioso, dominatore. Gli avversari gli rinfacciavano che le guerre in Gallia se l’era “inventate” per accrescere il successo personale e diventare “popolare” a Roma. Anche le imprese in Oriente, il rapporto con Cleopatra “faraone d’Egitto” corrispondeva ad un progetto politico, nonostante la vicenda sentimentale da cui era nato un figlio, Tolomeo Cesare che s’era portato a Roma.

Eppure, accanto a questi aspetti da calcolatore, emerge in lui un senso di umanità di cui Augusto spesso sarà privo. Sa perdonare gli avversari, commuoversi di fronte alla morte del nemico Pompeo, essere tenero col figlio avuto da Cleopatra. Non farà uccidere Cicerone, il leader senatoriale delle tradizioni repubblicane, come invece lascerà fare ad Augusto. Nel celebre De bello gallico, in cui parla delle sue imprese in terza persona – una cronaca di guerra narrata con uno stile asciutto e preciso ma coinvolgente – racconta senza pregiudizi un mondo che non conosce.

Cesare è uomo aperto. La cultura ellenistica, in cui si è formato, lo apre a progettare per Roma nuovi spazi – basiliche, fori – in cui le sue statue vengono moltiplicate, con un culto della personalità irritante per alcuni, ma consequenziale al suo gusto autopromozionale di vero leader politico e culturale. In una società che ha passato decenni a dilaniarsi con le guerre civili, un uomo che si atteggia a legislatore e pacificatore, a promuovere una cultura raffinata, viene accettato dal popolo. Diventa, già vivo, un mito.

 

Lo rimane per secoli, insieme ad un altro grande a lui simile, Alessandro Magno. Non si contano nella letteratura e nell’arte – dal cinema al teatro, dalla musica alla pittura – le opere che lo hanno visto protagonista. Cesare diventa il modello della virtus romana, del sogno di universalità. Il volto di quest’uomo magro, teso, replicato in mille sculture e monete dell’epoca, viene ripreso da artisti che lungo i secoli lo reinterpretano, anche lo stravolgono. Si celebrano le sue prodezze letterarie, militari e sentimentali. Si pensi alla sua figura di gentleman inglese nel celebre film Cleopatra del 1963.

Se gli imperatori bizantini e medievali, se gli zar e Napoleone ne riprendono l’idea, che diventa ideologia e lo stile fastoso – la sua toga purpurea è passata dal cerimoniale bizantino al manto papale –, significa che la fama dell’uomo è meritata. La sua parabola di conquistatore e di vittima è diventata nel tempo un segno della capacità umana di autoesprimersi in pensieri e opere grandi e vasti.

Una rassegna come questa che raduna, in oltre duecento pezzi, oreficerie, dipinti, sculture, opere letterarie e filmiche – insieme a quelle dei suoi grandi contemporanei, da Cicerone ad Antonio, da Augusto a Cleopatra – rende Cesare ancora vivo, ed il suo mito, oltre la leggenda, giustificato. Cesare davvero ha dato una svolta alla storia.

 

 

Giulio Cesare. L’uomo, le imprese, il mito. Roma, Chiostro del Bramante, fino al 3/5 (catalogo Silvana editoriale).

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