Certezze necessarie in Libano e non solo

Il caso libanese mostra come la delegittimazione delle istanze internazionale impedisca di trovare soluzioni in Paesi attraversati da gravi crisi politiche ed economiche
Proteste antigovernative a Beirut, lo scorso 6 giugno 2020. (AP Photo/Bilal Hussein)

In questi mesi libanesi post-coronavirus, posso assistere alla caduta in discesa libera della moneta locale, la lira. Dal cambio lira-dollaro del settembre 2019 di 1.500 lire, siamo giunti a flirtare con quota 5.000, e chissà quanto nel momento in cui leggerete queste righe. Il fenomeno, al solito, ha molteplici ragioni, in primis la mancanza di certezze nella politica del governo libanese, in una perdita di credibilità addirittura più rapida della caduta della lira. Una tra le mille prove? Non riuscendo a imporre l’uso della mascherina in luogo pubblico, l’esecutivo ha istituito un’ammenda di 50 mila lire per mancanza di rispetto della norma. Ma il giorno della promulgazione del decreto, nelle strade di Beirut solo una persona su tre portava la mascherina – pur disponibili in gran quantità e a prezzi stracciati in tutte le farmacie −, e soprattutto nessuno controllava. Nel caso della lira, se non ci sono regole univoche per le banche, se non si riescono più a pagare i debiti esteri dello Stato, se l’intervento dell’Fmi è continuamente rallentato dalla burocrazia e dagli interessi e se, per giunta, Banca del Libano e governo non hanno saputo offrire all’organismo finanziario cifre concordanti sulle perdite delle banche e del Paese, è evidente che le tensioni si scarichino sulla moneta, che già da tempo veniva tenuta sulle 1500 lire per dollaro solo con artifizi di alta ingegneria attuariale.

Si dice che i mercati abbiano bisogno di certezze, anche se spesso dietro a tali certezze si trincerano politici e imprenditori per non spremere le meningi e inventare nuove soluzioni. Ma non solo i mercati, di certezze hanno bisogno anche i fedeli di una qualsivoglia religione, anzi spesso tali certezze diventano un surrogato della fede, snaturando la natura stessa del proprio credo che scivola nella ritualità o nella superstizione. Della certezza hanno altresì bisogno – e cambiamo radicalmente di ambito – i tifosi di sport, che hanno bisogno di avere i loro appuntamenti precisi, per creare le loro agende del divertimento. I giuristi, ma anche tutti noi cittadini, abbiamo bisogno estremo della certezza del diritto, la nervatura di ogni società, senza la quale i consessi umani evolvono in dittature, anche se un eccesso di normatività può portare al blocco delle società. E potremo continuare nell’enumerare quelle certezze che paiono necessarie, anche se in misura da lasciare i necessari spazi di libertà alle forze vive delle singole società.

La vicenda libanese insegna che senza certezze una società prima o poi si sfascia, e ogni tipo di disastro può emergere anche quando meno ce lo si aspetta. Un minimo di certezze, non si pretende la perfezione. Ma tali sicurezze non nascono dal nulla. Hanno bisogno di libertà e di giustizia per maturare. Libertà interna – il Libano in questo senso ne ha parecchia −, ma soprattutto esterna. E questa in Libano è merce rara, quasi introvabile. L’Iran con gli Hezbollah che hanno il loro esercito; Israele con le sue frontiere sigillate controllate dai soldati italiani della Finul; la Siria in guerra, troppo a lungo occupante del Libano; l’Arabia Saudita che possiede buona parte del patrimonio immobiliare del Paese e che ora ha mire sullo sfruttamento del gas trovato tra la costa e l’isola di Cipro; gli Stati Uniti che finanziano certe fazioni corrotte; la Francia, che non ha ancora perso la speranza di tornare ad essere il punto di riferimento politico e culturale del Paese dei cedri… E si potrebbero aggiungere le mafie che riciclano denaro sporco, i trafficanti di droga che si servono nelle piantagioni della Bekaa, i mercanti d’armi che ne approfittano delle frontiere porose verso la Siria… Come volete che il povero Libano se la cavi da solo?

Ci sono momenti in cui la sola soluzione possibile ai problemi di un dato Paese è un intervento politico e diplomatico esterno. Ma nel caso libanese ciò sembra impossibile, per le troppe influenze contrastanti appena enumerate, ma anche per la delegittimazione progressiva delle istanze internazionali come l’Onu, l’Oms, l’Unesco e via dicendo, private di quelle autorevoli certezze che riposavano proprio sul carattere inter e transnazionale delle istituzioni. È legittimo sperare che il Covid-19 faccia riflettere i potenti di questa terra sulla necessità di una nuova concertazione? Anche per il “mio” Libano.

 

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