C’ero anch’io sul Titanic
La capacità di amare corrisponde alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme . Questa frase di papa Ratzinger, letta in equilibrio precario su un autobus affollatissimo, era tornata più volte alla mente di Marcello, durante l’intensa mattinata di lavoro, come qualcosa che portava il timbro della verità. Ebbe modo di rifletterci su con più calma durante la pausa pranzo, mentre consumava il suo panino passeggiando nei dintorni dell’ufficio. Si ricordò così di quando, anni prima, la scelta di Dio aveva sigillato l’uscita dal carcere del suo isolamento per ritrovarsi in una famiglia più vasta, la Chiesa, con davanti tutta l’umanità. Per lui fu emozionante scoprirsi parte di una realtà che abbraccia cielo e terra, passato presente futuro; un corpo nel quale non si è individui isolati e dispersi ma tutti chiamati ad essere uno in Cristo, e dove ciò che accade ad un membro si ripercuote su tutti gli altri, nel bene come nel male. L’esempio studiato in fisica dei vasi comunicanti, secondo cui un liquido introdotto in uno di essi fa alzare il livello anche negli altri, esprimeva efficacemente questa verità che un papa, Pio XII, aveva messo in luce nella Mystici Corporis del 1943, lo stesso anno di nascita del Movimento dei focolari. E il carisma dell’unità gli appariva appunto un aiuto a vivere la propria appartenenza al corpo mistico di Cristo, con tutte le implicazioni indicate in quella enciclica. Quella capacità di amare che corrisponde alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme portava Marcello a immedesimarsi non solo in quanti incontrava, ma anche in quelli di cui aveva notizia, viventi o no; a cogliere ora da un romanzo, ora da un’opera d’arte, ora da un film che gli trasmettevano qualcosa della bellezza e della verità che è Dio, il dono che taluni di essi erano per l’umanità. Al tempo stesso, certe tragedie anche passate suscitavano in lui il desiderio impellente di fare la sua parte per rendersi utile: ma in che modo? Un giorno ebbe modo di approfondire l’argomento con padre Felipe, un dotto religioso carmelitano, suo amico, che era andato a trovare nel suo convento. Conversavano passeggiando loro due soli, e avendo come sottofondo il chiacchierio discreto della fontana del chiostro. Quando mi sono convertito ero uno studente liceale con pochi amici e piuttosto introverso – gli raccontava Marcello -. L’ideale dell’unità mi ha sbloccato, dando inizio ad un cammino interiore nel quale Dio non era più una vaga entità: nasceva con lui persona un rapporto che si esprimeva anche nell’esigenza di pregare. E questa preghiera, fatta non solo di formule, di richieste personali, acquistava respiro, si allargava alla Chiesa e all’umanità intera. Sperimentare la grazia della presenza di Gesù nella comunità suscitava in me sentimenti e interessi nuovi. Prima, ad esempio, non sapevo gran che della cristianità divisa, del problema ecumenico. Le vicissitudini degli altri popoli, la grande causa della pace, erano realtà lontane, davanti alle quali mi sentivo impotente. Ora è diverso. Sento che tutto mi riguarda e su tutto io posso in- fluire con la mia preghiera, con la mia stessa vita (è la questione dei vasi comunicanti!). Io posso, col mio donarmi oggi, contribuire forse anche ad un mondo migliore per quelli che verranno. Posso far qualcosa anche per quelli che, non più su questa terra, hanno ancora bisogno di purificarsi…. Incoraggiato dall’ascolto attento dell’amico, Marcello passò a spiegare con un esempio qualcos’altro che gli stava a cuore: Una volta sono rimasto così impressionato da una ricostruzione della tragedia del Titanic che, quasi mi trovassi anch’io su quel transatlantico, ho avvertito l’impulso a intervenire a favore di quanti vi erano a bordo. Ora ti chiedo: non può essere che Dio, tenendo conto della mia preghiera futura nel momento stesso in cui la nave affondava, abbia cambiato qualche cosa degli avvenimenti come poi si sarebbero svolti? È possibile cioè – per la realtà che tutti ci lega in uno – influire in qualche modo anche su fatti già avvenuti? Non so se ti sembra ridicolo o strampalato tutto questo…. Padre Felipe aveva una espressione seria, assorta. Per quanto ne so – prese a parlare a sua volta -, penso di poterti rispondere affermativamente. Il Padre vede tutto dall’alto e in lui c’è il presente, il passato e il futuro. Chi vive nell’unità come Cristo la intende – e so che questa è la tua tensione quotidiana – vive questa dimensione di eternità o di tempiternità perché vive in Dio nel quale sono presenti tutte le cose e tutti gli eventi. Ma solo si può capire questo a partire dalla comprensione dell’unità che richiede di sollevarsi all’altezza stessa della comprensione delle cose in Dio. Non so dirti di più.Ma so che hai colto nel segno. Occorre però – continuò – vivere sotto ispirazione, essere docili per cogliere, nel presente, quegli impulsi dello Spirito nel chiedere e ottenere ciò che Dio vuole. Marcello annuì: Sai cosa penso? Anche per ciascuno di noi vale il fatto che certe grazie ci arrivano da chissà quali amori invisibili, da chissà quali lontananze di tempo e di spazio. Intanto padre Felipe l’aveva introdotto nella sua cameretta, spoglia di tutto tranne che di libri. Ne cercò uno negli scaffali, lo sfogliò e riprese: Senti cosa scriveva una mia cara amica nel suo diario: Quante volte ho pensato che io dovevo forse tutte le grazie, di cui sono stata colmata, alle richieste di una piccola anima, che conoscerò soltanto in cielo. Il privilegiato di un grande dottore sarà forse un piccolo pastore e l’amico di un patriarca un semplice bambino. Rispecchia proprio quello che pensavo! Chi è l’autrice?. Santa Teresa di Lisieux. E ho in mente in proposito un altro brano interessante. È di Léon Bloy, uno che ha vissuto lo spogliamento totale… ma dubito di trovarlo nel marasma di questa libreria. Fu l’ultima volta che Marcello incontrò l’amico, chiamato neanche un mese dopo, all’improvviso, a quella dimensione di eternità o tempiternità, per dirla con le sue parole. Più tardi, quando non ci pensava più, gli capitò di leggere: La comunione dei santi, antidoto o controparte della dispersione di Babele, attesta una solidarietà umana così divina, così meravigliosa, che è impossibile per un essere umano non rispondere di tutti gli altri, in qualunque tempo essi vivano, in qualunque tempo essi abbiano vissuto o in qualunque tempo essi siano chiamati a vivere. Il più piccolo dei nostri atti risuona a delle profondità infinite e fa sussultare tutti: viventi e morti. Era quella citazione di Léon Bloy. Per Marcello fu come sentirsela leggere da padre Felipe stesso e continuare un colloquio con lui.