Cercare il bene che Dio vuole
«Lasciatevi trasformare»: occorre diventare quello che già siamo per grazia.
Col versetto della Parola di vita di giugno Paolo inizia la parte esortativa della Lettera ai romani, l’unica scritta ad una comunità non fondata da lui, e quindi non risponde a problemi specifici, non entra nei dettagli, ma propone i fondamenti dell’esistenza cristiana: il culto da rendere a Dio, come si esprime nel versetto precedente: non cerimonie, né sacrifici di animali, ma la propria persona. La comunione con Dio è diretta, non più mediata da riti, e viene vissuta nella quotidianità. L’esortazione è prima negativa: non conformarsi a questo secolo, cioè al tempo attuale sotto il segno del peccato e della caducità. Il credente, col battesimo, è entrato in una vita nuova che ha come legge l’amore-agape; e questa novità dev’essere attuata nell’esistenza concreta con un comportamento controcorrente rispetto al mondo vecchio, dove vigono discriminazione, prepotenza, ecc.
Paolo prosegue: «Lasciatevi trasformare». Come credenti siamo già “creazione nuova”, ma è un inizio che tende al compimento: occorre diventare quello che già siamo per grazia. Questa trasformazione consiste nel «rinnovare la mente». Egli utilizza il termine greco nous, difficile da tradurre: non è soltanto l’intelligenza o la razionalità. Certamente la dimensione intellettuale è essenziale, ma in quanto investe tutto l’uomo, secondo l’antropologia biblica che non è dualistica. Il credente quindi non è chiamato primariamente a trasformare il mondo, ma a rinnovare sé stesso, a lasciare che sia il dono divino dell’amore a guidare il suo agire: condizione indispensabile per poi essere lievito nel mondo.
Sulla base di tale rinnovamento, è possibile «discernere la volontà di Dio». Discernere è proprio dell’intelligenza umana, ma di una intelligenza penetrata dallo Spirito di Dio, mossa dall’agape, capace quindi di prendere in ogni circostanza la decisione etica conforme al Vangelo. Il discernimento è necessario perché la volontà divina non è più esclusivamente fissata in determinati precetti da osservare e dietro i quali sentirsi a posto, ma va scoperta sempre nuova in ogni momento dell’esistenza. Essa consiste in «ciò che è bene, gradito a Dio, perfetto». Questa ricerca del bene da fare e del male da evitare ha anche i suoi rischi, richiede un agire responsabile senza il quale non c’è crescita umana. E la perfezione richiesta non è quella sul modello greco dell’essere o diventare senza difetti, ma sta nel fare fino in fondo il bene che Dio vuole.