Cercando il vero
È ciò che io dò agli altri che mi fa essere, che mi fa progredire nell'essere.
Le riflessioni fin qui sviluppate (vedi Città nuova n° 6/2009 e 8/2009, ndr) ci conducono ad alcuni rilievi conclusivi. Innanzitutto il legame profondo che unisce il pensiero e la vita.
Implicito al vivere vi è già un pensare che attende di essere espresso. Il mio pensare è quindi frutto del mio vivere: da qui le deviazioni intellettuali, che la storia registra, causate, per lo più, da una vita sociale condotta immoralmente, ma da qui anche le splendide fioriture di pensiero dovute a una vita moralmente retta.
Il pensiero, a sua volta, è tale da determinare il corso del vivere umano, per quel tanto che ha in sé di esistenza, di verità. La ragione di ciò è da ravvisare nel fatto che l’uomo è, nella sua essenza, profondamente uno, per cui l’essere è il pensiero e il pensiero è l’essere, pur essendo essi anche distinti.
Con ciò non intendo affermare che il pensiero crea l’essere, né che l’essere crea il pensiero, ma piuttosto evidenziare la dinamica vitale che intercorre fra l’uno e l’altro: se sono buono riesco a fare buoni pensieri, ma, se penso bene, sarò anche buono. Ed è nel mio esistere puntuale che traluce questa unità profonda: io non sono né nel prima né nel poi; io sono in questo istante del presente.
Ciò che scopriamo nei filosofi del passato non è tanto ciò che ci hanno consegnato come frutto della loro ricerca, quanto il fatto che essi, proprio ricercando, donavano sé stessi agli altri.
È la legge inscritta nel nostro essere: tutto ciò che facciamo, lo facciamo per l’umanità, se «facciamo la verità». Cercare il vero significa, allora, cercarlo per me e cercarlo per gli altri, per tutti quelli che con me cercano l’essere. E lo cerco donandolo.
Cercare è, dunque, una continua proiezione di sé, un continuo donarsi, perché implicito all’essere stesso è il dare.
Da qui, un impellente richiamo ad essere, e non tanto ad apparire. Ed essere – ripeto – significa donarmi esistenzialmente all’essere, ricercando e donandolo poi agli altri.
Talvolta può sembrare che in ciò mi soccorre l’aiuto degli altri che si donano a loro volta. In realtà, non è tanto l’aiuto che mi proviene dagli altri o ciò che acquisisco da loro a darmi qualcosa in più per essere; è piuttosto ciò che io dò agli altri che mi fa essere, che mi fa progredire nell’essere.
È che io ricevo tanto quanto dò. Se, allora, io vado dagli altri solo per ricevere, senza aver niente da dare, anch’essi, a loro volta, non potranno darmi niente. Se invece mi dono loro, posso anche ricevere, perché, in quel mio farmi dono, suscito in loro domande, le cui risposte si ripercuoteranno anche su di me.
Dunque, è la continua proiezione di me verso la verità che io cerco che mi fa essere, che mi fa esistere, che mi fa donare in esistenza agli altri ciò che ho scoperto. E in ciò è la condizione del progredire filosofico dell’intera umanità.