In cerca della verità

Memorie di un assassino è un film del 2003 di Bong Joon Ho, autore anche di Parasite in corsa per gli Oscar. Ispirato ad una storia vera si concentra sulle indagini di un gruppo di detective chiamati a scoprire l’identità di un serial killer dopo la scomparsa e uccisione di un gruppo di donne. Il film racconta una storia vera: gli omicidi seriali che sconvolsero la Corea dal 1986 al 1991. Un caso tutt’ora irrisolto.  

Non è solo un thriller poliziesco il film del regista coreano, uscito nel 2003 e mai distribuito in Italia, è ora in uscita il 13 febbraio. Certo racconta un giallo irrisolto almeno fino al 2019. Si tratta di un serial killer che in una piccola città lontana da Seoul nell’arco di sei anni, dal 1986 a 1991, uccise dieci donne sempre con lo stesso cerimoniale: violenza e poi morte in una sera di pioggia di ragazze e giovani.

La polizia del luogo ovviamente dà la caccia all’assassino, usando ogni mezzo, anche violento e colpendo indistintamente  sospettati e innocenti. In particolare infierisce su un povero ragazzo menomato. Nemmeno un poliziotto esperto venuto dalla capitale riesce nel suo intento, perché la verità gli sfugge continuamente di mano, il delinquente appare e scompare.

Il film è ansioso, duro, sporco. Tutto si svolge  sotto gli occhi della gente, dei media, dei bambini che non capiscono le ricerche dei poliziotti, della polizia stessa che si deve arrendere davanti all’ennesima persona sbagliata. Non basta trovare una persona sospetta, interrogarla anche in modo pesante: la verità sfugge. I poliziotti non si accorgono di poter diventare essi stessi degli assassini di innocenti. Finché uno si arrende: cambia lavoro e vita, ma il pensiero  della ricerca fallita non lo lascia.

Al di là del genere, certo di attualità per i frequenti femminicidi, il film diventa una metafora o se si vuole una occasione di riflettere sull’uomo che ad ogni costo vuole cercare la verità del dolore e della morte innocente come quella delle vittime.  Non cerca risposte in un visione trascendente ma nei fatti reali che tuttavia sono intricati, ambigui. La verità gli sfugge e nemmeno una forzata unità fra i poliziotti giunge ad un risultato.

Il film non ha luce né consolazione, perché la serenità manca nel cuore degli uomini.  C’è solo  nei ragazzini che hanno visto in faccia l’assassino ma non lo ricordano: ha una faccia comune, dicono, “normale”.  Fuor di  metafora, il male viene da persone all’apparenza normali, tranquille, socievoli, ma che dentro hanno la morte. Non da un povero ragazzo scemo o da un giovane strano e solitario. Ognuno dunque è un potenziale assassino, questa la verità di fondo scandita dal film oscuro e teso.

I poliziotti non lo capiscono per molto tempo, si fidano delle loro tecniche investigative, finché almeno uno ammette una sconfitta, pur continuando  da solo la ricerca. Troverà mai la soluzione?

 

 

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