C’era una volta la città dei matti
C’era una volta la città dei matti, il manicomio: un vero e proprio lager, concepito affinché i “malati di mente”, dimenticati da tutti e senza possibilità di guarigione, non dessero più fastidio a nessuno, a costo di togliere loro il diritto all’esistenza e la dignità di esseri umani.
Negli anni Sessanta, Franco Basaglia, psichiatra, iniziò la sua rivoluzione per ridare dignità a queste persone, cercando di capire il perché di un disagio che ancora oggi non è immune da colpevoli pregiudizi. Naturalmente, la “rivoluzione” di Basaglia non era esente da limiti, evidenziati anche dalla mancanza di strutture intermedie per i pazienti “liberati” dai manicomi.
La fiction andata in onda su Raiuno è entrata dentro a questa storia. «Ogni giorno c’è stato qualcuno che ci ha ricordato che la realtà è nel confronto con il diverso», racconta Marco Turco, che ha girato il film nei luoghi dove si sono svolti i fatti, dopo un lavoro di documentazione storica che ha coinvolto tutti i settori della produzione. Ogni particolare è stato ricostruito grazie alla testimonianza degli “ex-pazienti” che hanno partecipato alle riprese sul set come comparse, rendendo il fluire del film appassionante, crudo, carico di poesia, ricco di verità.
Come ha ricordato il protagonista, Fabrizio Gifuni, «non basta un uomo solo a cambiare le cose, ma è necessario un insieme, un corpo che dia ali anche alle avventure davvero più folli, ma che si rivelano le più azzeccate». Il film racconta le imprese di Basaglia e dei suoi collaboratori in un modo “corale”. I protagonisti sono soprattutto loro, i pazienti, che si riaffacciano alla vita con coraggio. I lati oscuri della fragilità non vengono elusi ma diventano un’occasione di crescita per tutti. I primi ad accorgersene sono stati gli attori, concordi nel definire questo lavoro una «straordinaria esperienza umana», individuando un “prima” e un “dopo” nelle loro esistenze grazie al contatto con chi ha vissuto questi dolori.