Il Centro Sud del Cile sconvolto da incendi
Si potesse almeno dire che “piove sul bagnato”. Macché, non cade una goccia, mentre 230 mila ettari di foreste del Centro Sud del Cile sono oggi in preda alle fiamme. Gli ingredienti della catastrofe perfetta (la peggiore di questo nella storia del Paese, ha dichiarato la presidente Michelle Bachelet) sono stati vari: una ondata di calore che ha fatto
registrare temperature storiche in varie città, il tradizionale clima secco unito alla siccità, e intensi venti che hanno sospinto le fiamme di centinaia di incendi scoppiati nella cordigliera dorsale del Cile. È la catena montagnosa che si interpone tra il Pacifico e le Ande e rende impervia la geografia di questo Paese, lungo 6 mila km ma largo in media appena 200-300 km.
Una quarantina tra aerei cisterna ed elicotteri ed oltre 4 mila brigadisti non sono stati sufficienti per controllare tanti fronti. Alcuni incendi sono fuori controllo sulla sessantina ancora attivi e 14 estinti. Il bilancio è triste: 10 morti, centinaia di milioni di dollari di danni, circa 300 case danneggiate, un migliaio gli sfollati e un totale di più di
400 mila ettari andati in fumo. Sono bilanci destinati a crescere, purtroppo.
Da giovedì sta operando efficacemente un Jumbo Jet (Supertanker) antincendi, un gigante capace di rovesciare tra 70 mila e 90 mila litri di liquido di diversa specie affittato negli Usa. La Russia ha offerto un gigante dell’aria capace di lanciare 30 tonnellate di acqua e di prendere terra su piste più corte e di ricaricarsi in 15 minuti, sono stati mandati
esperti dalla Francia, l’Argentina, la Colombia.
Ma ciò che più fa impressione è quanto sia vero che la natura non regala proprio niente al Cile. Dal 2010 in qua, le catastrofi naturali costituiscono una sequenza che pare quasi accanimento, a cominciare dal terremoto seguito da tsunami di 7 anni fa di 8,8 gradi di magnitudo che sconvolse il Paese: 535 morti, miliardi di danni. Seguirono non meno di 3 grandi eruzioni vulcaniche capaci di interrompere il traffico aereo per settimane. Ancora nel 2015 un nuovo terremoto: 8,4 gradi Richter. E ancora una scossa forte a Natale. Ormai, meno di 6 gradi non è nemmeno notizia. Nel 2014 e quest’anno i dintorni di Valpariso sono oggetto di incendi. Varie le vittime, 4 miliardi di dollari i danni. Nel
2015 il deserto più arido del mondo, l’Atacama, nel nord estremo, si inonda. Pare impossibile. Temperature estreme fanno sì che piova anche a 3.800 metri di altezza, invece di nevicare, l’acqua trasformata in melma vischiosa scivola a valle e nel suo breve percorso fino alla costa porta via con sé villaggi interi, strade, ponti e 28 persone sottratte ai loro
cari. Vari miliardi i danni. Dal luglio scorso (anche in pieno inverno) gli incendi si sono susseguiti portandosi via 430 mila ettari di foreste. E la sequenza delle calamità continua: in questi giorni nel Nord estremo erano chiusi i passi che collegano col Sud della Bolivia e il Nord dell’Argentina per torrenti esodati, mentre a valle ci sono zone inondate. L’emergenza del fuoco ha messo in secondo piano tale situazione.
In questo momento la maggiore emergenza è quella delle fiamme. In alcune regioni, ciò che appariva come una speranza per contribuire allo sviluppo, la forestazione e l’industria del legno, ha assunto un risvolto imprevisto, forse dovuto anche a certa imperizia nel prevedere la possibilità di incendi. Ci sarà tempo per studiare anche tali questioni.
Ora è tempo di intervenire, mentre la solidarietà si mette in moto: parrocchie che raccolgono generi di prima necessità, indumenti acqua. «Si vede che la gente ci aiuta, commuove», raccontano gli abitanti di alcuni villaggi colpiti soccorsi in questo modo. C’è chi raccoglie fondi, chi mette a disposizione un camion. Una milionaria cilena negli Stati Uniti ha pagato i 2 milioni di dollari che costano i primi tre giorni di operazioni del Supertanker e una famiglia di industriali ha assunto la spesa della settimana seguente. Anche i cileni italiani si sono fatti vivi offrendo somme raccolte tra loro. «Sono nostri fratelli, dobbiamo aiutarci», spiega una mamma di famiglia che ha coordinato una raccolta tra i vicini e
poi l’ha trasportata in parrocchia a sue spese.
Presto o tardi, le fiamme saranno vinte. E si tornerà a costruire, ancora una volta, per cercare di strappare a questa natura un posto dove vivere, lavorare, realizzare sogni e progetti. Lo faranno con la caparbietà e la tenacia di sempre, con la pazienza secolare di chi costruisce la sua storia col cemento della sofferenza e della perseveranza. Due anni fa la
padrona di un ristorante de La Serena squassato dallo tsunami mi disse in mezzo allo sfacelo: «Lo ricostruiremo e meglio di prima». Questo è il Cile al quale la natura non regala niente.