Papa Francesco, cento come lui
Papa Francesco è come un bambù giapponese. In 7 anni ha una crescita quasi impercettibile, e poi, in 6 settimane, cresce più di 30 metri. «Potremmo dire che il bambù – si chiede Diego Fares in Papa Francesco è come un bambù (Àncora 2014) – abbia impiegato soltanto 6 settimane per crescere? No, la verità è che si è preso 7 anni e 6 settimane per svilupparsi. Sono pochissime le persone che, con l’età, invece di appassire, fioriscono e danno il meglio di sé. Papa Francesco è una di queste».
La data del 13 marzo 2020 segna i primi 7 anni di pontificato di papa Francesco. Cosa fiorirà nelle prossime settimane e cosa è già sbocciato in questo settennio in un “pontificato di semi” ampiamenti sparsi? La parola bilancio non si addice per il cambiamento «profetico» proposto da Bergoglio, che pensa a una Chiesa in viaggio, dove le mete si scoprono e si raggiungono strada facendo con tenacia e gradualità. Il mondo è cambiato, anche la Chiesa deve farlo, cominciando da un’interiore trasformazione, «dal centro stesso dell’uomo, cioè una conversione antropologica» perché «non siamo più nella cristianità, non più». (Discorso alla Curia, 21.12.19).
Tutto il globo diventa terra di missione. I numeri di Francesco raccontano di un amore sconfinato che abbraccia il mondo. 32 viaggi all’estero, il primo in Brasile, l’ultimo in Thailandia e Giappone per un totale di 342.773 km. Prossime tappe: Malta e la Terra dei fuochi. In Italia ha già visitato 15 regioni su 20 per un totale di 26 viaggi. Una Bolla, 2 encicliche, 5 esortazioni apostoliche, 62 lettere apostoliche, 33 Motu proprio. Innumerevoli udienze, lettere, interviste, colloqui, telefonate personali…
Chi è Bergoglio? I suoi gesti, il linguaggio, la sua normalità, lo stile di vita frugale e quotidiano, il mettersi alla ricerca degli ultimi, la sfida di andare incontro alla gente, sono parte della definizione che dà di se stesso. «Ero un prete callejero», cioè un prete di strada, così risponde il 29 luglio 2013 alla giornalista Hada Messia della Cnn nel volo di ritorno da Rio a Roma. La sera del 31 dicembre 2019 una turista cinese in piazza San Pietro lo strattona tirandolo per il braccio destro. Francesco rischia di cadere, è un uomo di 83 anni con problemi di deambulazione, perde la pazienza e la schiaffeggia sulle mani per liberarsi. La mattina dopo, un gesto raro, all’Angelus, in mondovisione, si scusa pubblicamente: «Anche io, a volte, perdo la pazienza. Chiedo scusa per il cattivo esempio di ieri». Qualche giorno dopo, l’8 gennaio, incontra la turista cinese nell’Aula Paolo VI e nell’udienza generale di mercoledì 5 febbraio, parlando, forse, anche di sé, commenta: «Quanto è difficile ammettere un errore e chiedere perdono!». Ma lo ha fatto.
Siamo certi che, prima di offrire le sue scuse all’Angelus, si sia confessato perché così ha fatto in passato per una mancanza ancora più lieve da lui stesso narrata quando era già vescovo di Buenos Aires. Una persona con evidenti problemi psichiatrici gli aveva chiesto di confessarsi, ma in un primo momento, lo aveva indirizzato verso un altro sacerdote perché stava perdendo un treno. Torna indietro, lo confessa, il treno arriva in ritardo e non lo perde. «Al ritorno – racconta Bergoglio – non andai direttamente a casa, ma passai dal mio confessore, perché ciò che avevo fatto mi pesava». Episodi che esemplificano il primato della testimonianza, il radicalismo dell’amore, la coerenza con il Vangelo puro, vissuto sine glossa, il mettere Cristo al centro della Chiesa: sono i mattoni per ricostruire la Chiesa. «Va’ e ripara la mia casa», queste parole, che il Crocifisso di San Damiano rivolge al giovane Francesco, sono all’origine, insieme alla povertà e alla tenerezza per tutto il creato, della scelta del nome che Bergoglio ha scelto da papa. Non è questo, in fondo, quello che insegna il Concilio Vaticano II? Paolo VI, il papa più amato da Francesco, nel suo discorso di chiusura della IV sessione conciliare, diceva che «la religione del nostro Concilio» è «stata principalmente la carità» e «l’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio». «Per Francesco – scrive Antonio Spadaro su La civiltà cattolica – questa deve essere la Chiesa: una Chiesa “samaritana”, “ospedale da campo”, una Chiesa che è “casa per tutti”».
Le novità di Bergoglio appaiono più evidenti agli occhi di chi non lo conosceva, ma non ai sudamericani, che vedono solo ampliati a livello mondiale il suo modo d’essere e le sue idee maturate e vissute in una lunga vita. Anche alcuni temi tipici di Bergoglio maturano nel solco della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano che si svolse nel santuario di Aparecida, in Brasile, nel maggio del 2007, dove ebbe il ruolo di coordinamento nella redazione del testo finale in cui tra l’altro leggiamo: «La nostra opzione per i poveri corre il rischio di rimanere su un piano teorico o meramente emotivo, senza incidere veramente sui nostri comportamenti e sulle nostre decisioni».
Nel documento di Aparecida ricorre 21 volte l’espressione «opzione per i poveri», 13 volte «misericordia», 7 «misericordioso». «Prossimità» e «vicinanza», altre parole chiave di papa Francesco, le leggiamo 11 volte. «Accompagnamento» 18 volte. All’urgenza di passare da una pastorale di conservazione a una pastorale missionaria sono dedicati 3 interi paragrafi.
«La predicazione del cardinale Bergoglio – scrive Luigi Accattoli in Il vescovo di Roma per i tipi di Edb – ispirò Aparecida che oggi papa Bergoglio propone al mondo» per passare da una Chiesa che «regolamenta la fede – dice Francesco – a una che trasmette e agevola la fede». Non a caso la più innovativa riforma di Francesco riguarda l’unificazione della Congregazione Propaganda Fide, nata nel 1622 per la missione in terre non cristiane, e il dicastero della Nuova evangelizzazione perché «l’umanità chiama, interpella e provoca, cioè chiama a uscire fuori e a non temere il cambiamento» in dialogo con la cultura contemporanea.
Non si può più insistere a presentare il cristianesimo come il baluardo delle questioni etiche e dei valori non negoziabili. Serve un nuovo annuncio della fede che si concentra sull’essenziale. «La proposta evangelica – dice Bergoglio in La mia porta è sempre aperta (Rizzoli 2013) – deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali». Per questo «la testimonianza – scrive Massimo Borghesi nel bel dossier Francesco edito da Città Nuova – diviene la forma privilegiata della presenza. La testimonianza e non, in primis, la posizione dialettica. Il cristianesimo non è, nella sua essenza, dialettico: è un “affermativo” che non necessita nemici per essere».
Accorciare le distanze tra clero e popolo, tra vescovi e sacerdoti per un incontro relazionale empatico, sensibile, personale, gratuito, denso di misericordia, dove la gioia diventa la parola chiave nel magistero di Francesco in documenti come: Evangelii Gaudium, Laudato si’, Gaudete et exsultate. «Da quando ho scoperto – diceva Methol Ferré, pensatore uruguayano molto ascoltato da Jorge María Bergoglio – che la Chiesa è una realtà di uomini lieti, la vita mi sembra sempre una novità sostanziale».
La gioia dell’annuncio
Intervista a GIANNI VALENTE
Giornalista agenzia Fides
Nel suo libro-intervista a papa Francesco, Senza di lui non possiamo far nulla (San Paolo 2019), affronta un tema che è un tratto distintivo del pontificato: la gioia di annunciare il Vangelo…
La prima Lettera apostolica programmatica di Bergoglio nel 2013 è stata Evangelii gaudium per ricordare a tutti che «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Gesù». L’elemento più fecondo è il continuo richiamarsi al fatto che la sorgente della missione è Cristo. È lui stesso che mette in atto il dinamismo missionario della Chiesa, non è il risultato di uno sforzo, di strategie speciali, di una applicazione di progetti particolari. È solo un riverbero di gratitudine. Un trabocco di gratuità per la gioia di aver incontrato Cristo ed essere stati abbracciati da lui. È singolare il fatto che il papa suggerisca come libro di preghiera gli Atti degli apostoli. Si riferisce al primo diffondersi dell’esperienza dei primi cristiani, come se ci fosse qualcosa di paradigmatico che vale per sempre.
L’annuncio può essere fatto anche senza parole?
Il papa ha detto mille volte che annunciare il Vangelo non è «proselitismo» e ha suggerito in tanti modi diversi che la Chiesa cresce «per attrazione» e per «testimonianza». Sdrammatizza certe contrapposizioni, per esempio, tra l’annuncio e le opere. Negli anni ’70 si dava più importanza alle opere e meno all’annuncio. Questa contrapposizione è fuori tempo e il punto di snodo importante è la testimonianza che passa anche senza parole. È un tratto proprio del cristiano. La coerenza non è l’esito di uno sforzo di adeguamento dei comportamenti a una griglia di idee. La testimonianza e la coerenza possono essere un dono. È il cambiamento che Cristo stesso opera in te. Non testimoni te stesso, le tue capacità, il tuo modo di aderire ai principi cristiani. È Cristo stesso che agisce, cambiando il tuo cuore. E così gli altri se ne accorgono. Vedono te, ma anche qualcosa che il tuo cuore indica al di là della tua persona.
Certe istituzioni ecclesiastiche non dicono più nulla a certa gente, perché?
Nonostante tanti sforzi di rinnovamento, non rimandano ad altro da sé. Per quanto brillino di capacità, di funzionalismo, di efficacia, alla fine non interessano nessuno. È una patologia diffusa per tante iniziative ecclesiastiche. Il primo tratto che emerge è che non hanno nessuna capacità di suscitare stupore nel cuore delle persone. Mi viene in mente quello che scriveva sant’Ignazio di Antiochia nei primi anni del II secolo cristiano: «Il cristianesimo non si sostiene con parole dell’umana sapienza, ma con la forza di Dio».
Un radicale del Vangelo
Intervista a LUIGI MANCONI
Già presidente Commissione diritti umani del Senato
Quali sono le novità del pontificato di papa Francesco?
Penso sia molto importante analizzare il sistema dei segni che utilizza. Affida la comunicazione del messaggio del Vangelo a una forte pragmaticità. Il primo gesto fu quello di recarsi a Lampedusa e di mostrarsi tra le barche dei profughi. È definito il papa della carità e in Italia si è data tanta enfasi all’accoglienza dei migranti, ma la Chiesa è millenaria e universale. Il papa spesso parla da Roma e in italiano, ma il suo sguardo è rivolto a tutto il mondo. Non si può leggere in un’ottica provinciale antisalviniana e antisovranista. Una lettura solo italiana, solo europea non solo è sbagliata e falsa, ma è un tradimento. La complessità del suo pensiero fa saltare tutte le categorie di destra e sinistra. È un uomo totalmente preso da una vocazione e guarda l’uomo nella sua integrità al di là delle differenze sociali, economiche e territoriali. La sua è un’interpretazione radicale del cristianesimo.
Quale sua frase ha segnato una svolta?
La sua frase più importante è stata, per me: «Chi sono io per giudicare?». È la rottura più profonda di un atteggiamento culturale e pastorale che ha restituito al papa il suo ruolo di essere parte di una Chiesa non giudicante ma che partecipa alla vita, alle passioni, alle sofferenze di ogni persona dell’umanità.
Le parole di Bergoglio più ignorate?
Le parole più censurate dalla classe politica italiana sono: amnistia, indulto, ergastolo. Papa Francesco ne ha parlato in più di una circostanza e ha detto cose importanti sul significato della pena detentiva, che sono state completamente ignorate.
Che collaborazione può esserci tra mondo laico e cristiano?
Esiste una lunga storia, che dura da 50 anni, di collaborazione tra mondo laico e cristiano, che ha a che fare con la carità, nel senso più alto del suo significato, sui temi della migrazione, della detenzione, della povertà. Non suscita dilemmi, ma viene contestata da chi ha una visione delle cose solo partitica ed elettorale.