Cento angioletti boliviani
Ècome quando la sera ad una certa ora ti viene sonno e vai a dormire. Non ti chiedi perché a quella ora gli occhi si fanno pesanti, perché ti metti il pigiama… Hai sonno e devi andare dormire. Tutto qui. Forse è un paragone stupido, ma è stato così. Ho sentito che l’unica cosa da fare era partire. Un’amica, il venerdì santo, aveva raccontato a Lara di un orfanotrofio in un paesino della Bolivia, Camiri, con 100 ospiti dai tre ai diciotto anni, e di una suora sarda francescana, Grazia, che li accudiva. Quando gli edifici erano stati affidati alla diocesi, la cucina era una stanzetta di fango nella quale si mangiava a turno, le camere da letto uno stanzone di materassi ammassati a terra. La suora li aveva trasformati in strutture accoglienti, con spazi per mangiare, lavarsi, studiare, giocare, riposare, lavorare. Li aveva chiamati Hogar, che vuol dire casa. Dopo due minuti Lara aveva già deciso di partire. Non sapeva nulla di quello che l’aspettava, di quale senso avesse un’esperienza del genere. Un misto di gioia e convinzione profonde rendeva la sua decisione ineluttabile. Lara è partita il venerdì santo, col cuore. Col corpo alcuni mesi dopo. Dopo aver rinnovato il passaporto, fatto i vaccini necessari, imparato un po’ di spagnolo, dopo aver spiegato ad Andrea che la sola idea di rinunciare a quel viaggio la faceva sprofondare in un’atmosfera di lutto, dopo aver visto le lacrime mute della mamma il giorno della partenza, e il timore del padre tradito dagli occhi, nonostante il gran sorriso della figlia, il suo abbraccio e bacio prima di salire in aereo. Dopo tutto questo, a luglio, Lara è partita per la Bolivia. Víctor Piccolino, magro, occhi grandi e dolcissimi. Me lo ricordo così: lo guardo da lontano e lo vedo fare ogni cosa con precisione, velocemente, mangiare, giocare, studiare, lavorare. Víctor ha perso la mamma, il papà lo ha abbandonato, è all’Hogardall’età di tre anni. Adesso ne ha sette. Una delle cento storie, ferite da sanare. Basta un gesto piccolissimo, inconsapevole, uno sguardo, una carezza, un sorriso, una parola, un po’ d’affetto personale, per vedere spalancarsi una voragine, un bisogno d’amore abissale. È come riempire un buco nero… mi ci perdevo e tuttora mi ci perdo al solo ricordo. Un pomeriggio Lara racconta ai bambini una filastrocca, la storia di un cagnolino, perrito, che ha un cappello vecchio e vuole comprarne uno nuovo, ne vede molti ma alla fine si tiene il suo cappello vecchio. Lara ha un libriccino che illustra le scene e indica le parole chiave in inglese. I giorni successivi, quando i bambini la incontrano, fanno a gara a chi se ne ricorda di più. Un pomeriggio si avvicina Víctor col cuore che gli batte all’impazzata, dice: perrito. Lara lo accarezza dolcemente, lo prende in braccio, lo fa sedere sulle ginocchia. Víctor le chiede di fargli quello che fa ai bambini di tre anni: cavallito, vale a dire trotterellare sulle ginocchia. È contento ma rigido, aspetta il finale, andare giù col busto sulle sue braccia e poi tirarsi su. Aspetta l’abbraccio. Un tuffo al cuore. Lara lo tiene per alcuni istanti tra le braccia, lo guarda. Víctor si abbandona, nei suoi occhi una beatitudine senza fine. Si apre un abisso nell’anima. Scendere nella voragine, lasciarsi risucchiare. Conoscere la vita oltre la piaga. Quel mese Víctor e Lara si sono cercati: uno sguardo, una pacca sulla spalla, un abbraccio, una canzoncina, un gioco, una parola in inglese. Un filo invisibile li legava, e ancora li lega. Suor Grazia e le mucche perse Una fattoria, l’unica nel paese. Maiali, canna da zucchero, polli, mucche, un orto, cani da guardia, un recinto ed un cancello con la scritta Granja Niño Jesús. Una piccola fattoria che dà da mangiare ai ragazzi dell’Hogar, un lavoro oggi alle persone del paese, un lavoro domani ai ragazzi che usciranno dall’Hogar. Opera della suora sarda, anche questa. Suor Grazia ogni pomeriggio visita uomini, animali e verdure, li coltiva con la sua fede. Un giorno scopre che sono fuggite due delle tre mucche acquistate con grandi sacrifici. Ci sarebbe da disperare. A Camiri una mucca è un capitale ingente: 400 dollari. Un operaio ne guadagna 50 al mese. Tutti a cercare le mucche perse, senza successo. Perché Camiri è circondata da montagne, colline e pianure ricoperte da foltissima vegetazione, solcate da una strada che va a sud, verso il confine col Paraguay. Difficile trovare qualcosa. Pazienza, vuol dire che la mucca rimasta dovrà farsi in tre – pensa la religiosa -. E la vita va avanti. Passano due anni. Suor Grazia si reca in un villaggio di capanne di fango a 50 chilometri da Camiri per visitare delle famiglie. Sente dire che hanno visto da quelle parti due mucche simili alle sue. Che siano proprio le sue, lei non ci crede molto, ma sa che bisogna cogliere i segni che il cielo manda. Si mette alla ricerca. Alla fine trova le due mucche con un vitellino, controlla il marchio, sono le sue. Avevano perso la strada per la fattoria e si erano messe in cammino verso la città nella quale erano nate. Stavano tornando a casa. Ci sono leggi naturali che nessuna forza al mondo può violare. Per riportarle alla fattoria hanno dovuto caricare il vitellino su un carretto e percorrere il sentiero di montagna verso Camiri a passo di mucca. Due giorni di cammino. Le mucche sono tornate nella fattoria per amore del vitellino. Che storia. È la Divina Provvidenza – spiega suor Grazia con naturalezza -; senza la Divina Provvidenza non ci sarebbe la Granja Niño Jesús e l’Hogar. Non ci saresti tu e non ci sarei io. Ritorno al lavoro Ai primi di agosto telefona il padre di Lara per dirle che è ottava in graduatoria, l’unico posto per le supplenze annuali è stato dato al primo in graduatoria, non ci sono altre disponibilità. La notizia distoglie appena Lara dalla vita quotidiana, turbandola non più di tanto. Nell’Hogar è impossibile preoccuparsi troppo dei propri problemi, non c’è tempo. Lara con- divide con suor Grazia il disagio, ci scherzano su. Vedrai, appena tornerai in Italia troverai lavoro. Commenta la suora fiduciosa. E se non lo trovi… ritorni in Bolivia!. Tornata in Italia Lara presenta il suo cv alle scuole private, ma neanche lì ci sono posti. La speranza si fa vana. Finché un giorno un’amica la chiama per congratularsi: ad agosto le è stata assegnata una supplenza. Lara non capisce, va in provveditorato per chiedere delucidazioni. Professoressa Bianchini, finalmente si fa viva. Le sono state date 19 ore in due scuole: 11 ore a Penne e 8 ore a Montesilvano. Prende servizio il 1° settembre. Come è possibile? Ero ottava in graduatoria e c’era solo un posto. In effetti, le cose sono andate in modo un po’ originale. Il 1° agosto c’era solo un posto per il primo in graduatoria. Il 2 è saltato fuori un altro posto. Il 5 il provveditore ha convocato i candidati. Nel frattempo il secondo in graduatoria aveva già accettato un incarico in un’altra materia. Il terzo in graduatoria era assente, non lo sapeva. Il quarto in graduatoria, per un errore d’amministrazione, aveva 30 punti in più. Il quinto 30 punti in più se li era dati da solo, dichiarando il falso. Il sesto era in Sicilia, non è riuscito a tornare in tempo. Il settimo, come il secondo, aveva già accettato un altro incarico. L’ottavo, cioè lei, era assente senza delega. In realtà la sua delega si era persa. Sa com’è, con tutte queste carte. Avevamo già data la supplenza al nono in graduatoria. Per fortuna, qualche giorno dopo, una collega si è ricordata di aver visto la sua delega da qualche parte, si è messa a cercarla e l’ha ritrovata. Così abbiamo annullato l’incarico precedente ed assegnato a lei la supplenza. Non capitano spesso cose del genere. Lara è senza parole. Penne è la sua città, Montesilvano dista appena 17 chilometri. In tanti si erano dati da fare per assicurarle un lavoro a scuola. Ma chi sarebbe riuscito ad inventarsi un posto migliore, in un modo così originale? I miei angeli – pensa Lara -, cento angioletti boliviani non sono pochi.