Censimento etnico e dintorni
In questi giorni è quasi impossibile stare dietro alla linea dettata dal Governo -in particolare dal ministro dell’Interno- riguardante le politiche migratorie e l’atteggiamento verso gli stranieri presenti sul nostro territorio nazionale. Ancora di più quando vengono fatte affermazioni che toccano i minori e si esprimono pesanti giudizi su base etnico/culturale.
Mi è stato chiesto un parere da pediatra, visto che ho l’occasione di curare minori stranieri migranti in condizioni di vulnerabilità sanitaria, ovviamente in collaborazione ed in piena sintonia con tutti i colleghi impegnati sullo stesso fronte, sia del Servizio sanitario nazionale che di Ong e associazioni varie.
Ma è difficile non sconfinare. Intanto perché è ormai dato acquisito che un basso livello di salute dipende pesantemente da determinanti sociali peggiorativi (povertà, irregolarità, degrado abitativo, bassa scolarizzazione) e questi dipendono da scelte politiche. Ma soprattutto perché l’agire di un medico non può mai essere neutrale!
Qualunque sia la visione che un Governo ha delle politiche sanitarie (figuriamoci quando sono escludenti e discriminanti verso i più vulnerabili) resta la libertà di dissentire, così come nel 2009 facemmo in moltissimi quando siamo stati pronti all’obiezione di coscienza quando ci fu chiesto di denunciare i clandestini. Oggi, di fronte alle politiche di respingimento in mare, l’atteggiamento non può essere diverso. È sconcertante vedere messa in discussione quella conquista di civiltà e di umanità che sancisce il dovere assoluto di salvare vite umane, senza sé e senza ma. Discutiamo pure sulle criticità del fenomeno migratorio, sul Protocollo Dublino e sulle quote europee, ma mai dimenticare che esistono Convenzioni e Accordi internazionali (firmati anche dal’Italia) che sanciscono il supremo valore di tutto ciò, come la Convenzione di Ginevra del 1951 che, definendo chi è un rifugiato, gli concede la possibilità di richiesta di asilo.
L’idea del censimento dei Rom. Inquietante e greve di minaccia. Un censimento su base etnica non è consentito dalla Legge per ragioni sacrosante ed intuibili, e teniamocela cara questa legge!
Ma è anche una proposta superflua ed inutile, come dice Carlo Stasolla della 21 luglio, perché sui campi si sa già tutto. Pericoloso invece marcare uno stigma già esistente (“i bambini rom sono avviati a delinquere”) senza ricordare che i rom dei campi sono una minoranza e che nel ritenere la politica dei campi assurda e degradante siamo tutti d’accordo.
Eppure, cresciuti in famiglie allargate e solidali nonostante le difficoltà, i minori rom sono vivaci, estroversi, intraprendenti: pienamente bambini. Ricchi delle potenzialità di un popolo con radici antiche e un patrimonio culturale unico, la loro infanzia è oggettivamente troppo breve e segnata da una scolarizzazione inadeguata.
E se la descrizione dei primi etnografi era fin troppo stereotipata e bohémien -violini e donne dai vestiti sgargianti che leggono la mano- oggi “zingaro” è un termine dispregiativo che pesa sui loro bambini per i quali la scuola è una “Terra Straniera”, capace di procurare ulteriori ferite. «Dottore, i miei compagni dicono che puzzo. Io in quella scuola non andrò mai più». Non sanno che Nicu vive con 6 fratelli in una baracca senza servizi. Perciò ben venga una strategia di superamento dei campi. E, senza dubbio, sarebbe utile ripatteggiare modelli di comportamento per una convivenza civile e un assoluto rispetto delle regole. Ma questo non vale forse anche per migliaia di nostri italianissimi ragazzi che fanno bulli, i violenti, i prepotenti verso i deboli e che irridono la legge e distruggono la dignità di coetanei fragili o portatori di handicap? Allora diciamo le cose come stanno.
L’emergenza c’è, eccome, ma non è su base etnica né tanto meno migratoria. È educativa, è globale, e nasce dall’onda lunga di scelte e baratti fatti da tutti noi, caro mondo degli adulti.
Usare i minori rom come capri espiatori non solo aggiunge ferite a quei bambini ed è un invito al pregiudizio razziale grave perché arriva dalle Istituzioni, ma non porta da nessuna parte!
Poi si va alimentando il terrore per un ipotetico futuro meticcio per cui molti -sognando una smarrita purezza della razza italica- vedono la via di uscita solo nel bloccare gli ingressi e nell’escludere dalla cittadinanza i bambini stranieri già presenti. Sperando se possibile di rispedirli tutti al mittente.
Cosa penso? Primo, continuare a vedere confusi i minimi diritti umani con la dimensione culturale è veramente sconfortante. La razza è una sola, ed è quella umana, e negarlo è una grande corbelleria. Secondo. Che la sfida oggi – e questa è vera ed è davvero epocale- è quella della complessità e dell’intreccio delle differenti culture e perciò del governo della multiculturalità. Che non è roba da poco, non è facile né scontata. Ma è inevitabile, e va studiata e governata tutti insieme senza mai dimenticare il primo grande assunto, che appunto apparteniamo tutti alla stessa razza, su questo disperato e fragile pianeta.
Terzo, permettete a chi lavora con i bambini (non solo pediatri ma insegnanti, allenatori e mille altri) di ricordare a tutti che il nodo del problema non sta nella differenza tra bambini italiani e non. Ma nell’abisso che abbiamo scavato tra bambini ricchi e bambini poveri, che vivono a volte in universi paralleli anche dentro la stessa città.
Tra bambini con un pieno accesso ai diritti dell’infanzia (scuola, sanità, una casa decente, possibilità di fare sport, di leggere un libro, di fare vacanza) e bambini a cui tutto questo è negato. Tra minori protetti da una rete familiare serena e equilibrata e i disperati “figli dei conflitti”. Tra bambini rispettati in quanto bambini e quelli adultizzati precocemente, la cui infanzia viene spudoratamente rubata, e non solo nei Paesi più poveri, ma anche da noi.
Eccola, la vera frontiera da proteggere tutti insieme oggi. E riguarda quel prezioso e fragilissimo universo che è l’infanzia di tutti i bambini. Nessuno escluso, rom e migranti compresi. Questa sarebbe la vera linea di confine da non superare mai, e sulla quale ergere barricate e piazzare muri alti fino al cielo. Altro che i confini del sacro suolo italico! E se solo aprissimo un po’ di più la mente, ristudiando tutti insieme un po’ di storia, di geo-politica e magari di antropologia culturale, forse il bambino migrante che chiede di entrare o il minore straniero che chiede di restare non solo non ci farebbe più paura, ma ci apparirebbe per quello che è: la più grande opportunità che ci si sta presentando per il nostro futuro.
Arrivano da bambini, perché devono farci paura? Abbiamo tutte le opportunità per farli innamorare della nostra cultura e delle nostre leggi, e così è già stato fatto per milioni di loro, meravigliosi italiani di seconda generazione, portatori delle più diverse culture e tradizioni. Non è scontato, certo, ma si può! Ogni luogo dove i bambini giocano, imparano, fanno sport, pregano, abitano e si curano (tanti nostri ambulatori sono ormai degli straordinari luoghi transculturali) sono assaggi di futuro. Ma si deve iniziare da lì, dopo è troppo tardi.
Invece no, stiamo imboccando la strada della chiusura decidendo per respingimenti di massa, compreso quello verso quei minori non accompagnati che – con alle spalle storie che fanno commuovere, emozionare ed inorridire- rischiano perché non hanno altra scelta.
È in atto un qualcosa che appare come un calo di umanità e di cultura. Certo, sarà la Storia a giudicare, ma intanto il conflitto sociale aumenta, e le giuste correzioni di rotta che chiediamo all’Europa sembrano partire col piede sbagliato.