Cenerentola a Mumbai
Si può parlare di cose crude come le differenze sociali acute, come succede ancora oggi in India, con tocco leggero. Senza far melodrammi stile Bollywood. E dire parole che scuotono. Farlo con grazia, con un filo di commozione. Il film di Rohena Gera Sir Cenerentola a Mumbai parla di Ratna, 19 anni, e già vedova, che per non essere un peso agli adulti nel villaggio, va a servizio dal giovane e deluso Aswin, erede di una ricca famiglia di Mumbai, educato negli Usa, e lasciato dalla fidanzata. Lei è umile, servizievole, lui le rivolge dei “grazie” formali. Lui dorme nella sua stanza lussuosa, lei in un corridoio, mangia sola, seduta a terra, con le mani.
Uno sguardo sulle differenze sociali che fa intristire, ma che era attuale anche da noi in Italia fino al Secondo dopoguerra: cosa che si tende a dimenticare e a non trasmettere alle nuove generazioni.
Ratna lavora per la sorella, vuol farla studiare, impara a far la sarta, ha un cuore tenero e lieto, ma nascosto nell’umiltà della donna di servizio. Lui è disilluso. Lentamente Ratna conquista il giovane che se ne innamora. Ma Ratna ha una sua dignità, non vuole essere l’amante e poi venire abbandonata, come succede. Così si ritrae e soffoca l’amore dentro di sé: ha una messe di speranze da soddisfare ancora.
La bellezza del film, pieno di grazia e di eleganza, con una recitazione per sottintesi e parole pensate, sta nella delicatezza, nel non grido dei sentimenti, nel non scivolare nel melodramma occidentale o nella forte denuncia sociale. Che avviene, ma attraverso gli occhi e l’esile corpo di questa piccola donna determinata e speranzosa. Il film scorre così tra i grattacieli di Mumbai e le folle dei rioni, tra i mercati e le case umili nel raccontare la storia di un amore destinato forse a fiorire. Ratna e Ashwin forse si ritroveranno. La regista racconta per silenzi, con luci di volti, la gioia di vivere e di sperare che nessuna differenza sociale può togliere.