In cenere il museo nazionale di Rio de Janeiro

Era il più importante del Brasile. Vi erano conservati anche reperti archeologici provenienti da Pompei, portati in dote dalla regina Teresa Cristina di Borbone al marito, l'imperatore Pedro II detto il magnanimo.

Il 2 settembre 2018 segna una data infausta per il Brasile e per il patrimonio mondiale dell’umanità, che ne è risultato impoverito: nella tarda serata di quella domenica, infatti, uno spaventoso incendio ha distrutto il Museo nazionale di Rio, uno dei più importanti dell’America latina.

Chi ha visto le immagini impressionanti del rogo che divorava l’ex palazzo imperiale sede del Museo ha potuto nutrire pochi dubbi sul fatto che si fosse salvato qualcosa delle sue immense collezioni archeologiche ed etnografiche, cui va aggiunta la più fornita biblioteca scientifica d’America. Si dovranno accertare le cause. Certo è che da anni il Museo era penalizzato dalla mancanza di fondi: sale chiuse per scarsità di personale, manutenzione insufficiente, impianto anti-incendio inadeguato.

Con ogni probabilità, nel rogo che ha mandato in fumo duecento anni di raccolte e di attività scientifica sono andati distrutti anche preziosi reperti provenienti dall’Etruria e dalle città vesuviane. Come siano arrivati fin lì è una storia che ha che fare col Brasile imperiale.

il-museo-nazionale-di-rio-de-janeiro-dopo-il-rogo-foto-apTrasferiamoci a 68 chilometri dalla capitale carioca, nella microregione di Rio Serrana. Qui, a oltre 800 metri di altitudine, è collocata Petrópolis, città di circa 300 mila abitanti così nominata dall’imperatore Pedro II del Brasile detto il Magnanimo, il secondo (ed ultimo) della nazione, che vi ebbe la sua residenza estiva con un incantevole parco.

La “città di Pietro” è oggi una meta turistica rinomata in tutto il Brasile per le bellezze naturalistiche del circondario e le numerose attrattive storiche: tra queste, oltre al palazzo imperiale in stile neoclassico, ora museo ricco di cimeli storici, spicca nel panorama cittadino la cattedrale in stile neogotico col mausoleo che custodisce le spoglie di Pedro II, di sua moglie Teresa Cristina e di una delle figlie, la principessa Isabella.

Degna d’interesse, per chi ha poca familiarità con la storia del Brasile nel XIX secolo, è la vicenda di questa coppia imperiale. Fisicamente, non si potrebbero immaginare due personaggi più diversi. Lui, alto un metro e novanta, slanciato, biondo, occhi azzurri, molto attraente, apparteneva al ramo imperiale brasiliano della casa reale portoghese di Braganza; lei invece, bassina, un po’ soprappeso, col labbro inferiore pronunciato, non bella ma neanche sgradevole, era una Borbone, sorella di Ferdinando II re delle Due Sicilie.

Si erano sposati nel 1842 senza conoscersi, come all’epoca era consuetudine tra famiglie regnanti; o meglio, conoscendo l’uno dell’altra solo il ritratto. Si può immaginare la delusione del neoimperatore (era succeduto l’anno precedente al padre Pedro I) nel vedere l’originale al suo arrivo a Rio de Janeiro. Tuttavia, dopo l’iniziale difficoltà, i 46 anni di matrimonio dal quale ebbero quattro figli trascorsero di buon accordo. Tanto più che entrambi i sovrani erano colti, amanti della musica, delle belle arti e delle scienze. Teresa Cristina, anzi, era appassionata anche di archeologia: la sua dote nuziale comprendeva antichità etrusche e reperti da Pompei ed Ercolano.

Dopo i primi anni di rodaggio, acquistata sicurezza ed eliminata l’influenza dei cortigiani, dom Pedro riuscì a prendere personalmente iniziative di governo, dimostrando saggezza e prudenza. Non era propriamente un monarca costituzionalista sul modello inglese, ma nemmeno un autocrate come lo zar di Russia: esercitava il potere con il supporto popolare e di collaboratori qualificati ai quali richiedeva otto ore di lavoro al giorno e un’alta moralità. Monarca leale e scrupoloso, sempre attento ad evitare la corruzione e il malessere interno, ridusse al minimo balli e cerimonie di corte per evitare inutili dispendi. Appassionato di lingue, era in grado di parlare e scrivere non solo il portoghese, ma anche latino, francese, tedesco, inglese, italiano, spagnolo, greco, arabo, ebraico, sanscrito, cinese, occitano e tupi-guaranì.

Tra il 1848 e il 1852 il Paese fu scosso da crisi interne e conflitti esterni (con l’Uruguay, l’Argentina, il Paraguay). Dom Pedro riuscì a riportare la pace. Sotto il suo regno il Brasile si dotò di strade ferrate, rete elettrica e telegrafica, vie di comunicazione, e si distinse per correttezza nei commerci e stabilità sociale, nonché per rispetto dei diritti umani contro il traffico illegale degli schiavi fomentato dall’Inghilterra. Una macchia, invece, i cui effetti nefasti durano fino ai nostri giorni, fu la guerra combattuta contro il Paraguay tra il 1864 e il 1870, avendo come alleati Argentina e Uruguay: il più sanguinoso conflitto latino-americano, causa di un vero genocidio con l’annientamento di quella nazione.

Quanto alla timida e riservata dona Teresa Cristina, ella compensò la mancanza di bellezza con la discrezione, la modestia e la bontà, virtù che le guadagnarono l’affetto dei brasiliani. Amante della cultura, raffinata e sensibile come il suo sposo, fu anello di congiunzione fra due mondi, attirando dall’Europa intellettuali, scienziati e artisti. Sotto il suo patrocinio si formò a Rio de Janeiro il primo nucleo di quella che sarebbe diventata la più grande colonia di italiani al mondo.

Nel 1888 i due coniugi ebbero la soddisfazione di veder abolita in Brasile la schiavitù. Senonché lo scontento di una parte del Paese, aizzato dai ricchi possidenti coltivatori di caffè, portò nel novembre 1889 al golpe militare che proclamò la Repubblica. La famiglia imperiale ebbe solo 24 ore di tempo per lasciare il Paese e imbarcarsi per il Portogallo. Il dolore dovuto all’ingiusto esilio fu fatale all’imperatrice: morì pochi giorni dopo l’arrivo in un modesto albergo a Oporto. Aveva 64 anni.

Personaggio quasi del tutto sconosciuto da noi in Italia, la “madre dei brasiliani” – com’era definita dal popolo – ha dato il suo nome a ben sei città in altrettanti Stati della sua patria d’adozione. Nome legato anche alla ricchissima raccolta di incunaboli, libri rari e opere d’arte di importanti autori italiani, donata al Brasile da Pedro II dopo la morte di lei ed ora nel Museo imperiale di Petrópolis. Questa collezione, insieme agli oggetti esposti nel Museo Nazionale di Rio, costituiva – è il caso di dire oggi, dopo quanto è accaduto – uno dei maggiori giacimenti culturali italiani fuori dai nostri confini.

Dom Pedro morì nel dicembre 1891 a Parigi. Le sue spoglie tornarono in patria assieme a quelle della consorte solo nel 1920, quando il governo repubblicano gli riconobbe il ruolo di grande statista che aveva saputo portare il Brasile a un alto livello di sviluppo, assicurandogli un prestigio internazionale.

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