Cecco del Caravaggio: ma chi era costui?
Non lo sanno forse tutti, ma lui è in diverse opere del Caravaggio. È il ragazzino ammiccante dell’Amore vincitore di Berlino, è il Giovanni Battista di Roma (Pinacoteca Capitolina). E soprattutto è il giovane mesto Davide in una delle ultime tragiche opere caravaggesche, il Davide e Golia della Galleria Borghese a Roma, dove lui regge la testa enorme di Caravaggio-Golia.
È lui, Francesco Boneri, detto il Cecco del Caravaggio, allievo, garzone, modello e forse anche altro nella casa del grande lombardo. Lombardo lo era Francesco, anzi della terra bergamasca. Un personaggio che a quattordici o quindici anni o forse meno il Merisi fa entrare nella sua bottega. E lo ritrae: il chierichetto urlante nel Martirio di san Matteo (san Luigi dei Francesi), l’Isacco disperato nel Sacrificio di Abramo agli Uffizi, l’angelo robusto nella Conversione di san Paolo (Collezione Odescalchi Roma).
Il giovane segue Michelangelo a Napoli, quando nel 1606 il pittore vi fugge, ricercato per omicidio, ma resta in città mentre Caravaggio scende a Malta e poi in Sicilia. Si saranno ritrovati?. Chissà. Nel 1613 Cecco risulta a Roma, poi forse a Firenze. Infine, quasi più nulla.
Di lui restano le tele, in passato attribuite ad altri caravaggisti come Finson e Ribera. Invece, decenni di studi le hanno riportate a lui. Bergamo ne mostra 19 sulle 25 esistenti, insieme ad altre opere, fra cui quelle del bresciano Savoldo a cui sia lui che Caravaggio devono molto (oltre che a Lorenzo Lotto).
Fra le opere in mostra almeno due sono straordinarie. Una è il Ritratto di un fabbricante di strumenti musicali, da Londra: un uomo magro e un po’ strano, un estroso Rigoletto, che offre un tamburello e mostra sul tavolo un violino e rotoli di carta. Uno sguardo un poco allucinato, un cappello piumato, un pallore denso, abiti preziosi: è come un Caravaggio estremo.
L’altra opera è La cacciata dei mercanti dal tempio (da Berlino): un tempio classico, gente in fuga spaventata e urlante, un Cristo caravaggesco (quello della Vocazione di Matteo), luci violente, colori forti e un uomo col cappello rosso che ci guarda tra l’ironico e il soddisfatto. Cioè lui, Cecco. Che regala un iperrealismo magico, ad esempio nel San Lorenzo di Roma, inginocchiato a guardare il cielo, la dalmatica immensa e sanguigna, un librone a terra: pallido di un pallore lunare, più di Caravaggio.
Quando muore, nel 1630 è sui 45 anni. Ma ha fatto in tempo a dipingere opere anche misteriose come quella Resurrezione di Chicago, rifiutata a Firenze forse perché troppo anticonformista, che rivisita la tela perduta del maestro, estremizzandone le luci, il candore, il calore e la furia. Tanto da pensare che la tela proponga allo spettatore la visione di un “oltre” misterioso. Cecco non è solo un discepolo, è un maestro.
Fino al 4 giugno (catalogo di G. Papi – M.C. Rodeschini, Silvana editoriale)
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