Ceccanti, il riarmo europeo è una scelta di sano realismo

Secondo il costituzionalista dell’associazione Libertà Uguale, il Re Arm Eu proposto da von der Leyen è, nello scenario internazionale attuale, in linea con il disegno originario della Comunità europea di cui Mattarella è garante. Il Pd non può mettersi contro senza smentire la posizione dei socialisti e democratici europei. Bene la coalizione dei volenterosi promossa da Londra e Parigi davanti alle ambiguità di Trump
Meloni e von der Leyen al Consiglio europeo, 20 Marzo 2025. ANSA/US PALAZZO CHIGI ATTILI

Come sappiamo la Comunità europea di Difesa, fortemente sostenuta da Alcide De Gasperi nel 1954, non era di certo ideata in contrapposizione con l’Alleanza atlantica; ma il progetto fu fatto fallire, secondo il professor Paolo Pombeni, «dal nazionalismo francese che non voleva riammettere la Germania come forza militare, nel timore che questo avrebbe fatto rinascere l’aggressività tedesca al potere europeo».

Ora Mario Draghi ci invita proprio a seguire l’esempio tedesco del massiccio piano di riarmo nazionale che ha comportato il cambiamento dei vincoli costituzionali al debito che sembravano intoccabili.

A proposito dello scenario internazionale e quindi delle scelte del nostro Paese nel quadro europeo abbiamo intervistato Stefano Ceccanti, professore ordinario di diritto pubblico comparato Roma La Sapienza. Già parlamentare del Pd, Ceccanti è uno degli esponenti più attivi di Libertà Eguale, un’associazione di cultura politica nata nel 1999 per opera di riformisti provenienti dalle più diverse esperienze nell’ambito del centrosinistra italiano.

Nel dialogo con il costituzionalista pisano, che è stato in gioventù presidente della Fuci, è ricorrente il riferimento al dibattito ricorrente tra posizioni divergenti che risalgono alla storia stessa del cristianesimo democratico alla prova di governo nel secondo dopoguerra. In tal modo emerge la questione della Nato, solitamente rimossa, che resta invece decisiva della politica del nostro Paese.

Questa intervista avviene mentre Francia e Regno Unito dichiarano di aver costituito una coalizione di stati volenterosi pronti ad inviare truppe sul terreno ucraino all’indomani del cessate il fuoco.

Nelle stesse ore il presidente Mattarella ha incontrato una rappresentanza dell’Arma azzurra esprimendo un pensiero di omaggio «alla bandiera di guerra dell’Aeronautica Militare, pluridecorata e simbolo di coraggio, di dedizione, di senso del dovere» ribadendo la necessità di una nuova «riflessione sul nuovo contesto strategico internazionale che, naturalmente, richiederà conseguenti processi decisionali. Vale per le elaborazioni in sede di Alleanza Atlantica, vale per le decisioni da assumere in sede di Unione Europea, che non sono più rinviabili».

Anche Romano Prodi ha messo tutto il peso della sua autorevolezza per sostenere Re Arm Europe promosso dalla von der Leyen sulla base del rapporto Draghi. Ma come può realizzarsi senza un politica estera comune e quindi una difesa comune? Non rischia di creare conflitto tra i Paesi che si riarmeranno per proprio conto come sta facendo la Germania infrangendo il tabù del debito?
La difesa comune del Continente era per De Gasperi (e per Spinelli) la garanzia di un equilibrio tra Europa, Usa e Regno Unito. Tre pilastri per difendersi dall’Urss e legare la nuova Germania occidentale a una prospettiva europea. Solo che con la difesa si va al cuore della sovranità, molto più che per l’economia. E penso che qui dobbiamo anche dirci una cosa: non siamo del tutto sicuri che la Ced, se fosse passata all’Assemblea Nazionale francese superando i voti negativi di gollisti e comunisti, sarebbe stata approvata alla Camera dei deputati dove un anno prima non era scattato il premio di maggioranza. La risicata maggioranza centrista europeista era assediata da Pci, Psi e Msi. De Gasperi e Spinelli erano preoccupatissimi. Quindi anche settanta anni dopo bisogna muoversi con realismo.

In che senso?
La verità di lungo periodo, che più integrazione si fa sulla difesa meglio è anche con soluzioni radicali, non deve sacrificare gli obiettivi parziali immediati, che passano anzitutto per una responsabilizzazione di governi nazionali. Altrimenti si fa del benaltrismo. Questo ci ha detto la larga convergenza tra popolari, socialisti e liberali al Parlamento europeo, nel Consiglio e nella Commissione. È sempre stato così. Se si va a vedere l’intervento di Altiero Spinelli sul Sistema Monetario Europeo nel dicembre 1978 al Parlamento italiano vediamo che il grande europeista interviene a favore rivendicandolo come passaggio intermedio positivo, nonostante indubbi limiti e difetti, verso una maggiore convergenza economica, mentre il partito che lo aveva eletto come indipendente, il Pci, non lo segue nonostante il parere di Napolitano.

Quindi come va valutato, a suo parere, adesso il ReArm Eu?
Il piano anzitutto è una presa di coscienza della pericolosità del neo-imperialismo russo, che non può essere in alcun modo sottovalutato, ed anche della inaffidabilità dell’amministrazione Trump, che ha evidenti pregiudizi anti-europei.

Coloro che, a destra come a sinistra, non hanno condiviso il parere positivo sottovalutano la pericolosità della Russia (che è un pericolo immediato per Nord europei, baltici e Polonia, questi ultimi che si sono liberati solo nel 1989 e non nel 1945) oppure si rifugiano in un comodo benaltrismo che elude le responsabilità anche perché non consapevoli delle contraddizioni della storia.

Il riarmo proposto dalla Commissione europea rientra a suo parere nel disegno originario dell’unità europea?
De Gasperi, Adenauer e Schuman sono, non da soli, alla radice di questo impegno perché, come spiegava l’intellettuale francese Jacques Julliard, l’azione politica si basa per un verso sulla consapevolezza del peccato originale, dei limiti delle persone, dei gruppi e delle istituzioni, delle tentazioni della volontà di potenza, e per altro verso su un’istanza di redenzione del mondo che dobbiamo perseguire. Chi sottovaluta le minacce o fa del benaltrismo esclude il primo aspetto; ignora che, come ricordava Mounier, altro grande autore sui temi della pace e della guerra, il nostro ottimismo storico è comunque un ottimismo tragico che deve difendersi dalle possibili cadute.

Nell’intervista che ci ha concesso nell’aprile 2022 ci disse «la precondizione di una pace giusta (cioè che non sia una resa all’aggressore) è una situazione di equilibrio sul campo, che eviti la sconfitta dell’Ucraina e costringa i russi ad intavolare una trattativa vera». Come valuta oggi la condizione attuale delle parti in campo dopo centinaia di migliaia di vittime?
La situazione di stallo sostanziale di per sé favorirebbe una prospettiva di accordi equilibrati, che però è stata indebolita dall’elezione di Trump, il quale, in una logica di pura politica di potenza e di volontà di separare Russia e Cina in sostanza sembra disposto a fare concessioni sproporzionate a Putin. Per questo la fermezza dell’Europa, delle iniziative dei cosiddetti volenterosi, sono in realtà quelle che possono maggiormente favorire la pace giusta e non la retorica trumpiana. L’iniziativa dei volenterosi oggi è l’àncora di salvezza, l’unico modo per l’Europa di rientrare nel negoziato dal quale è stata esclusa a Riad.

L’America di Trump persegue il cessate il fuoco con la Russia, accusando di trame oscure il predecessore Biden. È solo una mossa per prepararsi ad uno scontro decisivo?
Per il nazionalismo antieuropeo di Trump l’Europa è troppo debole e poco interessante, meglio privilegiare la costruzione di sfere di influenza con la Russia separandola dalla Cina. Per questo è illusorio puntare a relazioni privilegiate di singoli Stati con gli Usa, non ci provano neanche gli inglesi che storicamente ragionavano così. È tempo di coesione di volenterosi, europei e non, arrivando anche a precisi trattati internazionali.

È verosimile la strategia minacciata dagli Usa di ritirarsi dall’Europa?
Al di là di singole minacce, il punto è che questa amministrazione Usa è radicalmente inaffidabile, c’è un salto di qualità in negativo rispetto alle richieste tradizionali di riequilibrio delle spese per la difesa in Europa. Per questo dobbiamo saper fare da soli, dicendo la verità all’opinione pubblica sul fatto che si è aperta una fase del tutto nuova per il combinato disposto della logica imperiale russa di rimettere le lancette al pre-1989/1991 e della mancanza di affidabilità di Trump.

È verosimile la ennesima scissione nel Pd tra la linea di Schlein e le diverse aree interne, da Zanda a Parisi, che chiedono un congresso straordinario proprio a partire dalla questione della guerra e del riarmo?
Prima di qualsiasi appuntamento interno verranno presto le prove esterne, arriverà nel Parlamento italiano qualche trattato da votare che origina dalle iniziative dei volenterosi, con le firme, tra gli altri, del laburista Starmer e del socialista Sanchez e in coerenza coi moniti del presidente Mattarella. Non posso credere che un partito europeista voglia mettersi contro la Commissione europea che ha votato, il Consiglio europeo presieduto dal socialista Costa, la grande maggioranza del Parlamento europeo, i moniti del Capo dello Stato e il parere unanime del resto della famiglia democratica e socialista, solo per inseguire il M5s di Giuseppe Conte. Con la Commissione Ursula 1 accadde il contrario: fu il Pd ad attrarre il M5s che la votò, cosa che rese possibile poco dopo il Governo Conte 2 che designò Gentiloni, pur avendo in quel Parlamento il M5s il doppio dei seggi del Pd.

Come valuta la posizione assunta dal governo Meloni?
La maggioranza è radicalmente divisa tra la posizione europeista di Forza Italia e quella nazionalista sovranista della Lega, mentre Meloni naviga tra le contraddizioni del suo nazionalismo originario, il rapporto stabilito con la Commissione europea e la volontà di non dispiacere Trump. Ma anche per il Governo verrà a breve il tempo per le decisioni, se firmare o no il trattato che scaturirà dalle iniziative dei volenterosi e se ratificarlo in Parlamento. Su firma e ratifica le ambiguità non saranno possibili per nessuno.

È tramontata per sempre la prospettiva della sicurezza comune delineata con gli accordi di Helsinki del 1975, che videro il concorso importante di Aldo Moro e drella Santa Sede?
Quegli accordi non nascevano da una volontà di appeasement (pacificazione remissiva, ndr)  ma dall’esatto contrario. Aumentare l’interdipendenza tra i sistemi e garantire un modus vivendi per le chiese era una sfida che avrebbe dimostrato la superiorità dei sistemi occidentali e che avrebbe spinto a far emergere le energie sociali sin lì represse. Moro e Casaroli erano tutt’altro che ingenui. L’Urss non capì la sfida perché era troppo sicura di sé, non c’era ancora stata la sconfitta in Afghanistan. Le autocrazie non si piegano ad accordi se non in due casi: o quando si sopravvalutano o quando sono costrette dalla fermezza altrui.  Questo spiega perché De Gasperi, nel difficile passaggio dell’adesione alla Nato, da lui definita applicazione dell’articolo 11 della Costituzione in quanto alleanza difensiva che produceva un’effettiva desistenza, trovò un alleato nella Segreteria di Stato vaticana con mons. Montini che, come figlio di un deputato antifascista aventiniano, aveva un senso realistico di queste scelte, a differenza delle pulsioni neutraliste che albergavano in Dossetti o in mons. Tardini. Un’eredità che vediamo riaffermata con forza dal presidente Mattarella.

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