C’è voglia d’arte
C’è fame d’arte in Italia. Quasi cento autori, giovani la maggior parte, lo dimostrano. Ma c’è anche paura. Del futuro, del passato che pesa, di un percorso occidentale che tutto ha provato e tutto – sembra – scoperto. Tanto da pensare che far arte sia ormai un fatto di citazioni, di interpretazioni, di eccentricità, almeno per essere un poco originali. Di fatto, la polverizzazione dell’anima, così evidente nel ritratto sociale del Belpaese, si rispecchia nel panorama artistico – e non può esserlo diversamente -, dando forma ad una enorme varietà di stili, scuole, intuizioni. Insomma, ogni artista appare chiuso in un bozzolo, tendente ad esprimere più sé stesso che il mondo che lo circonda. Per fuggire al disagio, al dolore. Ma è davvero così? Certo, Giovanni Rizzoli rivede il David di Donatello in forme femminee nel suo Donatella e Alessandro Bazan cita un Guttuso estivo nella tela ad olio Inside-out (ma perché questi titoli in inglese?) di giovani vacanzieri oziosi; Alessandro Cannistrà rifà il verso agli acquerelli cinesi d’epoca ne Da un certo punto di vista, allusivo e inquietante, e Stefania Fabrizi ripensa al recente 100, il film sulla battaglia delle Termopoli ne L’ultima battaglia, tetra apparizione di fantasmi… Siamo nel clima della reinterpretazione, della rivisitazione. Eppure, c’è chi osa. Carolina Antich insegue sogni fanciulleschi in Di notte, con bambini che volano nel vuoto tra sagome d’alberi, e una vena elegiaca molto femminile: non teme di evidenziare il proprio timbro, la sua poesia un poco surreale, ma sincera. Vittorio Sopracase indaga in Deux temps dans le meme temps passato e futuro che scivolano tra colori a macchia, morbidi: un senso di ottimismo passa attraverso le pennellate rapide, che portano respiro alla tela. Ci si sente bene. Anche la proiezione di Grazia Toderi, Rosso, con un universo sanguigno pungolato da mille luci, apre su una originale visione di infinito, dove la sofferenza crea qualcosa di vivo. Affascina man mano che lo schermo si allarga e si restringe in un sole irreale. Per chiudere con le sei stampe di plexigas a formare Linee biancoblu che viaggiano attraverso galassie nel buio, cercando una mèta. Giulio De Mitri, l’autore, evidentemente punta alla bellezza dell’astratto, che è poi quella dello spirito. Non è poco, per il Belpaese. Quadriennale