«Qui c’è il dito di Dio»
Non stupisce che il recente libro di Lucia Abignente, Qui c’è il dito di Dio, scelga il carteggio tra l’arcivescovo e Chiara Lubich come porta d’entrata per pubblicare poi una nuova serie di studi e documenti del Centro Chiara Lubich. L’arcivescovo De Ferrari non ha suscitato finora la curiosità degli storici professionisti. Non si sarebbe mai parlato di lui a Trento se non fosse per una oscura manovra dei gerarchi del regime fascista che nel lontano 1941 spinsero alla nomina alla sede trentina di quel vescovo di Carpi che si sperava avrebbe cambiato la linea fortemente antifascista tenuta dal suo predecessore, l’arcivescovo Celeste Endrici, una grande figura, amico di De Gasperi e per quasi 40 anni sulla cattedra tridentina.
De Ferrari, nominato perché considerato più “malleabile” per il regime fascista, nei fatti deluderà le aspettative del regime, che cadrà neanche due anni dopo. Certo, non aveva il fiuto “politico” di Endrici, ma non fece neanche piazza pulita, come ci si aspettava, dei collaboratori del defunto arcivescovo e non cambiò linea per le pubblicazioni. De Ferrari era un religioso e uomo di cuore, aveva soprattutto esperienze da amministratore e da educatore. Una delle poche famiglie comuniste della città fu da lui aiutata durante il periodo più nero della guerra a sopravvivere, e da buon amico del futuro papa Roncalli votava con lui – Roncalli era allora patriarca di Venezia − contro l’opinione degli altri vescovi nella Conferenza dei vescovi della regione Veneto, in favore dell’ammissione dei figli dei comunisti alla cresima (siamo nel 1958).
Che l’uomo avesse forza di carattere e sapesse resistere alle pressioni quando conosceva bene una situazione, lo mostrerà in modo eclatante quando, contro l’opinione prevalente nella gerarchia della Chiesa italiana e in parte nella propria diocesi, manterrà la sua difesa paziente, intelligente e astuta anche della giovane Lubich e dei suoi focolarini. L’Autrice racconta con l’aiuto di un abbondante materiale archivistico la storia di questo rapporto Lubich-De Ferrari.
La storia dei Focolari degli anni ’40-’50 è ancora mal conosciuta. La presente pubblicazione non è la prima opera che la racconta. Esistono parecchi studi parziali, e di recente libri su aspetti particolari come la storia della Lubich prima di iniziare i Focolari di Nino Carella (2014), o il libro fatto insieme all’Istituto Paolo VI di Brescia (2015) a partire dal carteggio tra Paolo VI e la Lubich, che hanno fatto luce su episodi di valore. Il libro che finora presentava la storia di quegli anni fino al 1965 era una voluminosa tesi di dottorato del prof. Bennie Callebaut (Istituto universitario Sophia), poi pubblicato in francese nel 2010 che uscirà in italiano a fine luglio per i tipi della stessa Città Nuova. Il taglio seguito da Callebaut, belga, è più di tipo storico sociologico e presta molta attenzione al contesto che vide nascere il Movimento.
Qui c’è il dito di Dio ha il merito soprattutto di essere la prima pubblicazione di una serie di lettere della Lubich e delle reazioni dell’arcivescovo. È una sorta di storia intima, con aspetti poco o per niente conosciuti se non dai più vicini, presentata con cura e con un commento sobrio. Queste pagine toccano, commuovono, stupiscono e certamente possono essere recepite come vere lezioni di spiritualità. Non tanto un libro di storia né un libro di studio, dunque, ma un documento che fa pensare piuttosto al “diario di un’anima”.