C’è chi dice no
Loro, il modo per dire di no al lavoro gratuito, mal pagato o a condizioni perlomeno discutibili lo hanno trovato: riunirsi in cooperativa, per fornire insieme servizi editoriali di ogni genere a varie testate. Abbiamo chiesto ai giovani di FpS Media (che sta per Fuori per Servizio, ossia la sigla che veniva usata nel registro presenze della scuola di giornalismo in caso di assenze per lavoro) che cosa abbia significato per loro questa scelta.
Avete sin dall’inizio preso posizione contro gli stage gratuiti, ma siete consapevoli che senza di questi probabilmente non sareste entrati nelle redazioni, dove avete acquisito competenze e contatti: non temete che, con una proposta come quella della Fornero, si ottenga semplicemente di togliere queste occasioni ai giovani aspiranti giornalisti?
«Parliamoci chiaro: è risaputo che le aziende editoriali per anni hanno usato gli stage come delle vere e proprie sostituzioni ferie, per coprire le carenze di personale e riempire il giornale in assenza dei “titolari”. Per questo riteniamo che il tirocinio di un giovane lavoratore debba essere in qualche misura retribuito, magari non con lo stipendio pieno di un redattore, ma nemmeno usandoli come una forma di volontariato. Anche perché questo scaverebbe un solco ancor più profondo tra chi “se lo può permettere” e chi no. Il rischio che studenti e giovani giornalisti non arrivino più a fare stage nelle redazioni c’è, ma non si può sottostare a questa specie di ricatto: o lavori gratis, o non ci servi».
In un’intervista al Tg3 avete affermato che per il primo anno avete comunque lavorato gratis, in quanto la cooperativa ancora non faceva utili: pur essendo una cosa connaturata all’inizio di qualunque attività economica, non è comunque una “barriera all’ingresso” tanto quanto lo stage gratis, con in più il rischio di averci messo i propri soldi?
«Non crediamo che il rischio di impresa sia paragonabile all’imposizione di un lavoro gratis. La nostra è una strada che abbiamo scelto perché ci abbiamo creduto (e, certo, anche perché potevamo permettercelo economicamente), che porta all’autonomia e all’indipendenza. Per lo stagista, invece, è un percorso segnato al quale non può ribellarsi: e questo, crediamo, fa tutta la differenza del mondo».
Avete sottolineato come unirvi vi abbia consentito di evitare l’abuso sul singolo: che differenza vedete tra i lavori che fate come Fps e le collaborazioni che portate avanti singolarmente?
«Il nostro mercato è abituato a trattare con giovani precari disposti a tutto, sia come carico di lavoro, sia come retribuzioni (o non retribuzioni): non è stato facile cercare di rompere certe consuetudini e porsi di fronte alle aziende editoriali, se non proprio alla pari, perlomeno non in condizione di completa sudditanza. La cosa più difficile da trasmettere è stata la differenza che comporta trattare con un’azienda, che offre vantaggi in termini di qualità (avere a disposizione una vera e propria redazione, ad esempio), ma dà anche qualche limite in termini di flessibilità sui costi e sulla disponibilità oraria. Inizialmente molti clienti erano diffidenti: preferivano avere un collaboratore classico, disposto a tutto ma inevitabilmente impossibilitato a lavori più complessi o a essere in più posti contemporaneamente. Poi un po’ alla volta la tendenza si è invertita. Adesso, rispetto a prima, possiamo dire “no” e rilanciare su offerte di pagamento al ribasso: una facoltà che difficilmente si riserva al singolo collaboratore».
Gli stagisti sfruttati di oggi saranno magari i datori di lavoro di domani: una prospettiva di speranza, dato che sanno cosa vuol dire lavorare in quelle condizioni, oppure di cinismo, in quanto si sentiranno legittimati a pretendete lavoro gratuito a loro volta?
«È ovvio che non potremmo mai applicare una sorta di senso di rivalsa sulle future generazioni e sui praticanti di oggi: non è solo una questione di giustizia, ma anche di professionalità. Se un giovane viene retribuito per il lavoro svolto, gli viene data fiducia e viene coinvolto, sarà più gratificato e quindi più efficiente: è un banale ragionamento imprenditoriale. Eppure, nel nostro campo, non ci sembra di riscontrarlo spesso. Nessuna rivalsa, quindi: al massimo puntiamo a essere un buon esempio per chiunque abbia voglia di mettersi in proprio».