C’è bisogno di sostenere la biodiversità

«Il 75 per cento del fabbisogno alimentare mondiale è basato solo su 12 tipi di raccolti agricoli e 5 specie animali», mette in guardia Stefano Padulosi, scienziato esperto di risorse genetiche. In più vi è una moria di animali impollinatori che mina interi escosistemi
Biodiversità

«Nel mondo possiamo contare su 250 mila specie vegetali conosciute, 7 mila delle quali selezionate nel corso del tempo dagli agricoltori di tutto il globo. Eppure, oggi se ne utilizzano solo una manciata. Il 75 per cento del fabbisogno alimentare mondiale è basato solo su 12 tipi di raccolti agricoli e 5 specie animali». Un dato impressionante, ben noto agli addetti ai lavori ma praticamente sconosciuto all’opinione pubblica, messo in evidenzaStefano Padulosi, scienziato esperto di risorse genetiche, membro di Bioversity International, istituto di ricerca per la tutela della biodiversità in agricoltura, all’XI Forum dell’Informazione per la Salvaguardia della Natura organizzato a Napoli da Greenaccord Onlus.

«L’uso di un numero sempre più ridotto di specie agricole – spiega Padulosi – è funzionale agli interessi del modello agricolo dominante e produce una standardizzazione dei gusti e una perdita di biodiversità genetica e culturale». La questione non è sottovalutabile: in ballo c’è la possibilità di garantire alle popolazioni mondiali alimenti «di grande valore nutrizionale e culturale che tra l’altro si adattano meglio ai diversi climi ed ecosistemi» e richiedono pertanto meno attenzione e un minore ricorso a prodotti chimici. «Sostenere gli agricoltori che mantengono tale diversità agricola attraverso il proprio lavoro nei loro campi – prosegue Padulosi – è quindi interesse dell’intera comunità internazionale. Così come è utile rafforzare il ruolo delle “banche genetiche”, che permettono di conservare le specie salvandole dall’estinzione», piccole ma cruciali per il futuro della sicurezza agricola mondiale.

Tra le specificità da tutelare, il Forum pone in rilievo la questione dell’impollinazione: «La diminuzione degli animali impollinatori può produrre un impatto negativo nella produzione del 75 per cento delle colture alimentari mondiali», analizza Allison G. Power, docente di Ecologia e Biologia evolutiva alla Cornell University di New York, partendo dalla considerazione che ¾ delle specie agricole utilizzate nell’alimentazione (e il 65 per cento di tutte le specie vegetali) richiedono un’impollinazione animale che è praticamente impossibile sostituire con tecniche artificiali. Facilmente comprensibili le conseguenze, in termini di accesso al cibo e di impatto economico sulle produzioni agricole. In Europa, Nord America e Asia il valore garantito agli agricoltori dall’impollinazione può arrivare a 1200 euro per ettaro. E varie ricerche hanno calcolato che le perdite di soggetti impollinatori proseguono a ritmi impressionanti: in Europa la moria delle colonie di api si attesta su una media del 20 per cento. Secondo i dati United nations environment programme (Unep), il Nord America ha ormai il minor numero di impollinatori domestici dell’ultimo mezzo secolo.

«Una situazione da considerare con grande attenzione», sottolinea Power che cita tra i pericoli, tra gli altri fattori, l’attuale sistema agricolo basato sempre più su un’industria intensiva e monocolturale. «Un danno non solo per gli animali impollinatori ma per gli interi sistemi ecosistemici, quei benefici forniti all’uomo dagli ecosistemi terrestri (offerta di nutrienti, acqua potabile, combustibili, controlli climatici, valori ricreativi e culturali)». Proprio in merito alla tutela dei servizi ecosistemici, Power sottolinea il grande valore economico che essi offrono anche se, colpevolmente, non figura nei calcoli dei Pil dei singoli Paesi. Da qui la sua proposta di cambiare l’approccio agricolo, puntando su diversificazione delle colture e introducendo sistemi che permettano di pagare i fornitori di servizi ecosistemici. «Visto che a fruire di tali servizi è la collettività – osserva Power – è giusto che tutti paghino per essi. Ma sistemi di misura in tal senso sono ancora futuribili in quasi tutto il mondo».

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