Il cattura rifiuti marino
Finalmente arriva alla fase finale di sperimentazione! Dopo un po’ di anni per la progettazione, raccolta fondi e realizzazione, il progetto Seabin inizia a diventare operativo contro l’inquinamento marino.
Seabin sarà un rimedio, seppur in scala ridotta, alla questione dell’inquinamento marino.
Ideato da due surfisti australiani, Andrew Turton e Pete Ceglinski, il progetto nasce dall’amore verso il mare e dal vivere emozioni fra le onde dell’Oceano Pacifico.
Seabin è un dispositivo di intercettazione galleggiante di detriti che affiorano a pelo d’acqua (plastica, vetro, carta, ma anche olio). È stato progettato – al momento – per essere installato in acque calme, come ad esempio i porti, perché potrebbe danneggiarsi per le forti correnti marine, ma anche perché per il suo funzionamento ha bisogno di elettricità. Esso cattura i rifiuti all’interno di un recipiente e rilascia acqua pulita. Sembra un progetto banale, ma dà un ottimo risultato.
Portando alla luce qualche dato, Turton e Ceglinski affermano che la capacità del contenitore può “ospitare” fino a 12 kg di spazzatura, e per ogni giorno di funzione Seabin riesce a catturarne fino a 1 kg e mezzo.
Insomma, numeri bassi rispetto alle tonnellate di detriti che navigano nei mari di tutto il mondo, ma è pur sempre un inizio.
Il primo prototipo è stato installato nel porto di Portsmouth (nel Regno Unito), con risultati incoraggianti. Prossimamente saranno avviati dei test ad Helsinki e nelle Baleari, con la prospettiva di immettere i bidoni anti-inquinamento marino sul mercato entro la fine di questo mese di novembre.
Il problema dei rifiuti in mare non è da sottovalutare. Un esempio lampante va all’isola di Henderson, nell’Oceano Pacifico, grande poco più di 37 km quadrati, scoperta agli albori del XVII secolo; praticamente mai abitata. Potrebbe essere un paradiso terrestre, stile Isola dei Famosi, e invece no. Si stima che sull’Isola di Henderson siano sedimentate più di 17 tonnellate di spazzatura, la maggior parte della quale di materiale plastico, ricoprendo buona parte della superficie calpestabile. A lanciare l’allarme su quello che sta succedendo sull’isola “sperduta” distante 5 mila km dall’Australia, è stata la ricercatrice dell’Università della Tasmania Jennifer Lavers, sorpresa dalle immagini visibili su Google Street View e scioccata quando vi si è recata di persona. «Abbiamo trovato bottiglie dalla Germania, contenitori dal Canada, una cassa da pesca dalla Nuova Zelanda».
La soluzione per l’inquinamento marino va trovata e anche in fretta. Ecco perché progetti come Seabin, seppur di piccole dimensioni, possono comunque aiutare a salvaguardare il mare.