Catalogna, condannati gli indipendentisti

La legge è stata applicata dalla Corte suprema contro i politici catalani accusati di sedizione ed appropriazione indebita per i fatti di due anni fa. I vescovi catalani sostengono che la pur legittima applicazione della legge non basta per un vero dialogo
AP Photo/Emilio Morenatti

14 ottobre, otto del mattino. Le telecamere sono in funzione a Madrid, alla Corte suprema. Il giudice Manuel Marchena deve leggere la «sentenza più importante», così l’hanno qualificata alcuni editorialisti, per la democrazia spagnola. Da sconosciuto che era, Marchena è diventato popolarissimo, almeno per tutti coloro che hanno voluto seguire, attraverso il sito web del Consiglio generale del potere giudiziario (Cgpj), lo sviluppo del processo contro gli imputati per gli avvenimenti dell’ottobre 2017 in Catalogna: quattro mesi di dibattimenti e quasi 600 testimoni.

Oltre un milione di visite ha registrato il sito web, e poi i vari telegiornali hanno fatto il resto. «Avvocato, non discuta con me»; «Guardi lei»; «Vediamo un po’»… Queste ed altre espressioni, poco giuridiche, sono tra quelle pronunciate da Marchena che potrebbero restare nel patrimonio linguistico del Paese.

I sette magistrati, quattro di tendenza conservatrice e tre progressisti, sono stati unanimi nelle loro decisioni lungo tutto il processo, e ciò è dovuto in gran parte all’abilità di Marchena. Il risultato finale è «una condanna disumana» secondo gli indipendentisti, e «poco severa» secondo i settori più attaccati al costituzionalismo vigente.

E cioè, tra 13 e 9 anni di prigione a nove degli imputati (Oriol Junqueras, a quel tempo vicepresidente del governo catalano, sei consiglieri e i due presidenti delle associazioni civili indipendentiste “Assemblea nazionale catalana” e “Omnium cultural”) per i delitti di «sedizione e appropriazione indebita», oltre la inibizione politica a perpetuità.

Gli altri tre imputati, pure consiglieri del governo catalano all’epoca, sono stati condannati a una multa di 60 mila euro più l’inibizione per quasi due anni per delitto di disobbedienza. Da segnalare che i magistrati non hanno trovato nei fatti motivi per un delitto di «ribellione», il che avrebbe aggravato le condanne.

Altre telecamere, tante, si erano piazzate nei quattro capoluoghi di provincia catalani, soprattutto a Barcellona. Ormai la sentenza era filtrata prima di essere pronunciata, e poi l’indipendentismo sapeva che sarebbe stato condannato. Eppure c’era da aspettarsi in piazza una muscolosa dimostrazione di rifiuto alla decisione della Corte suprema.

Migliaia di persone, accuratamente convocate attraverso le reti con delle app apposite, sono riuscite a bloccare certe vie e certe strutture pubbliche, in particolare la stazione ferroviaria e l’aeroporto di Barcellona. Qui oltre cento voli sono stati sospesi, lasciando centinaia di passeggeri chiusi nell’aeroporto. Quale modo migliore di dare portata internazionale alla protesta? Durante tutta la giornata poi, le telecamere hanno trasmesso in diretta lo sviluppo delle manifestazioni, forse sperando di vedere all’opera la polizia in modo non così brutale come due anni fa.

I vescovi catalani, riuniti nella Conferenza episcopale tarraconense, hanno voluto emettere un comunicato, in cui affermano che «la sentenza espressa dalla magistratura di uno Stato di diritto deve essere rispettata, nonché ogni possibile decisione che potrebbe provenire dai tribunali europei», perché «le leggi fondamentali che regolano il sistema politico costituiscono un riferimento di base dell’ordine sociale». Ma allo stesso tempo ritengono «che il raggiungimento di un ordine sociale retto abbia bisogno di qualcosa di più della semplice applicazione della legge». Dunque, i vescovi catalani vendono necessaria «la via della misericordia per disattivare la tensione accumulata negli ultimi anni e ritornare all’unica via possibile: una via seria di dialogo tra i governi spagnolo e catalano che consenta di trovare una soluzione politica adeguata».

 

 

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