Casti al matrimonio?

«Ho letto del calciatore Kakà che ha scelto di arrivare casto al matrimonio. Buon per lui. Ma a che serve quando ci si vuole davvero bene?». Claudia - Vicenza
Ricardo Kaka e Caroline Celico

C’è chi ha messo in relazione la scelta di Kakà con la religione che professa, con l’insinuazione di “fanatismo”. È possibile, una scelta controcorrente? Provo a lanciare un duplice messaggio. Immaginare una sessualità che si realizzi anche in assenza di espressioni fisiche appare impossibile. Eppure, ad essere sessuata è la persona nel suo insieme. Già a livello biologico: ogni cellula dell’organismo è sessualmente connotata, grazie alle combinazioni genetiche della prima cellula fecondata. Il biologico è l’aspetto visibile di ciò che chiamiamo interiorità: intelligenza, libertà, emozioni, lavoro, inventiva sono connotati sessualmente. Ogni gesto ha una valenza sessuata, in quanto trasmette la diversità che ci distingue. La capacità di vivere questa diversità è ciò che ci rende sessualmente maturi: sessualità e genitalità si richiamano vicendevolmente, ma non si confondono. In questo senso la castità è la possibilità e la libertà di vivere ogni gesto, compreso quello sessuale, sbarazzando il campo da ogni uso strumentale dell’altro. E forse vale la pena di attendere ad offrirsi con un gesto che porti in sé questa garanzia.

Ma perché aspettare fino al matrimonio? A livello di linguaggio comune utilizziamo un’espressione: avere rapporti completi. C’è come un’intuizione che nel gesto sessuale si realizzi una forma di completezza: che rispecchi la persona nella sua globalità. E la persona è tale nel suo presente, passato e futuro: accogliere completamente una persona significa accogliere anche il suo futuro. In questa luce il matrimonio non diventa un di più, ma quel punto di non ritorno che prende dentro tutto lo sviluppo ulteriore del rapporto delle persone.

tongan@alice.it

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