Castel Volturno, Italia: una battaglia di civiltà

Il nuovo vescovo di Capua, Pietro Lagnese, ha deciso di fare il suo ingresso ufficiale in diocesi a partire dal litorale di Castel Volturno, nel luogo dell’eccidio camorrista che colpì 6 immigrati del Ghana, vittime innocenti di violenza razzista. «Non mi aspettavo che il grado di sofferenza fosse così alto». Il riconoscimento del Centro Fernandes: «Un segno di quello che il mondo dovrebbe essere, una casa per tutti»
Castel Volturno. Vescovo Lagnese entra in diocesi di Capua. Cucciardi Fotografi Capua

Il nuovo arcivescovo di Capua, don Pietro Lagnese, ha scelto di iniziare il suo ingresso nella diocesi da un luogo di dolore, di sofferenza, di sopraffazione, di degrado, di abbandono.

Ha scelto Castel Volturno, la “piccola Africa” dove più di 10mila immigrati vivono, spesso in modo indegno, accanto ad altrettanti italiani.

E lo ha fatto fermandosi dove il 18 settembre 2008 il gruppo camorrista guidato da Giuseppe Setola uccise sei ghanesi, vittime innocenti di una violenza terrorista e razzista.

Una strage ricordata da un piccolo monumento e dai fori di kalashnikov che sfregiano ancora un muro. «Ho scelto di iniziare da un luogo segnato dal sangue innocente», ha spiegato Lagnese, dal 2020 vescovo di Caserta e dallo scorso dicembre chiamato da papa Francesco alla guida anche dell’arcidiocesi di Capua, nel cui territorio si trova Castel Volturno.

«Mai più devono crearsi le condizioni che hanno portato a una tale barbarie. Ma il sangue di questi fratelli non è caduto invano. Col loro sacrificio è stato lanciato un seme, quello della fratellanza fra popoli e culture».

Non a caso, al suo fianco c’erano don Antonio Palazzo, da 50 anni parroco di Santa Maria del Mare, da sempre punto di riferimento degli immigrati, i responsabili delle numerose chiese pentecostali locali frequentate dai fedeli d’origine africana e l’imam del centro culturale islamico di Castel Volturno.

Presenti anche i volontari delle associazioni che si battono sui temi dell’immigrazione, riunite nel comitato “Castel Volturno solidale”, che hanno ricordato al nuovo arcivescovo la proposta presentata al Parlamento per istituire il 18 settembre come giorno della memoria contro il razzismo.

«Castel Volturno è al tempo stesso battaglia di civiltà e sogno di fratellanza, luogo sia di sofferenza, sia di speranza – ha detto ancora Lagnese -. E la diocesi di Capua che lo segue e sostiene da sempre continuerà nel suo percorso con lo stesso vigore di sempre».

Ne è esempio il Centro Fernandes, che da quasi trenta anni è punto di riferimento, di aiuto, accoglienza degli immigrati di Castel Volturno e di tutta l’area. Qui l’arcivescovo ha scelto di pranzare con gli immigrati e i poveri del territorio, accolto dal direttore, Antonio Casale. Il pranzo è stato come una festa, con canti e balli organizzati dagli immigrati. Con tanti bambini. «Sono davvero contento di questa accoglienza così calorosa – ha commentato il vescovo – che è tipica del popolo africano dal quale dovremmo imparare a recuperare il senso di amore e di fiducia nella vita».

Ma poi è tornato a riflettere sul dramma di Castel Volturno. «Non mi aspettavo che il grado di sofferenza fosse così alto. C’è molto da fare e la diocesi farà la sua parte. Questo luogo – ha aggiunto con riferimento al Fernandes – è un segno di quello che il mondo dovrebbe essere, una casa per tutti».

Più tardi, nell’incontro con le autorità, Lagnese ha richiamato sulla «complessa e delicata questione della qualità della vita a Castel Volturno» e sulla «presenza di tanti migranti che, fuggiti dai loro paesi di origine, si sono stanziati sul litorale Domizio».

Molti, ha sottolineato, “senza permesso di soggiorno, e perciò senza diritti e dignità”. Parole importanti, anche perché i ritardi e le mancanze delle istituzioni qui sono state e sono ancora gravissime, malgrado tanti fondi stanziati e il fatto che dal 2017 il prefetto di Caserta sia anche commissario straordinario di governo per l’emergenza immigrati (come quello di Reggio Calabria per San Ferdinando e quello di Foggia per Manfredonia).

Così il vescovo ha ricordato come «la Chiesa, in quel luogo, da tempo cerca di essere presente e, insieme a tante realtà associative, prova a stare accanto a chi, quando non è accompagnato, può diventare – come tante volte è accaduto e ancora accade – facile preda di quanti vogliono arricchirsi sfruttando la loro condizione di precarietà, alimentando così la percezione che quella sia terra dell’illegalità e della corruzione». Invece, ha sottolineato, «quando si riescono a sconfiggere quelle logiche perverse, s’innescano processi virtuosi e nascono storie interessanti».

In particolare ci ha tenuto a «richiamare una storia bella: quella di Mamadou Kouassi, il giovane ivoriano ospite al suo arrivo in Italia del Centro Fernandes e, poi, perfettamente integrato a Caserta: quella storia ha ispirato il film di Matteo Garrone, Io Capitano, candidato all’Oscar. Lì, la nostra provincia è salutata come approdo sicuro, possibilità di riscatto, occasione di rinascita».

E ha concluso con un auspicio: «Diventi davvero così il nostro territorio: casa dove c’è lavoro, e casa dove la terra si lavora; casa di solidarietà e di rispetto dei diritti di ogni persona, casa di amicizia, di inclusione, di fraternità: casa “fratelli tutti”! L’augurio che faccio a tutti voi – ha aggiunto rivolto a politici e amministratori – è di essere insieme, per il territorio che qui
rappresentate e servite, protagonisti di questo cambiamento».

Ma il tema è tornato infine, come impegno, anche nella celebrazione solenne in cattedrale a Capua. Citando «il litorale di Castel Volturno, 27 Km di costa, da Pescopagano a Ischitella, vera Galilea delle genti, terra di meticciato, terra spesso senza diritti e dignità, per tanti, migranti e non solo», l’ha definita «terra di missione in cui la Chiesa, chiamata a essere segno del Vangelo e profezia del Regno che viene, si gioca buona parte della sua credibilità».

Per don Pietro, come ama essere chiamato, è solo l’inizio. La sua promessa è di tornare spesso per incontrare la comunità africana, per vedere coi suoi occhi i gravi problemi, per provare a risolverli, sollecitando chi da anni dovrebbe farlo e non lo ha fatto.

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