Cassiodoro verso gli altari
Risale al luglio scorso la scoperta a Parigi, nella Biblioteca nazionale di Francia, di un manoscritto proveniente da un’altra biblioteca parigina, quella dell’Arsenale. Scoperta importante, in quanto giunta a supporto del processo di beatificazione di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, in corso presso il tribunale dell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.
L’antico documento attesta infatti, fin dal VI secolo, la fama di santità del grande squillacese, unitamente a due pontefici di quel periodo: Agapito I, fondatore della biblioteca che da lui prese nome, e Vigilio I, il papa entrato in contrasto con Giustiniano I a motivo della “Controversia dei Tre Capitoli”, origine di uno scisma nella Chiesa.
Del resto, tutti i contemporanei di Cassiodoro, oltre ad ammirare in lui l’accorto politico e l’erudito, ne testimoniano l’umiltà, la carità e la santità di vita.
Ma chi era quest’uomo considerato da alcuni alla pari di un Padre della Chiesa d’Occidente? Nato intorno al 485 d. C. da una delle più stimate famiglie dei Bruzi originaria forse della Siria, trascorse l’infanzia presso la natia Scolacium, la Skylletion che si vuole fondata sul versante jonico calabrese dagli ateniesi di Menesteo reduci dalla guerra di Troia (l’odierna Squillace al centro del golfo omonimo).
In un’epoca burrascosa, quel VI secolo che vide in Italia il regno romano-barbarico degli ostrogoti soccombere all’imperatore d’Oriente, percorse un’importante carriera politica alla corte di Teodorico e dei suoi successori quale questore, console, generale e primo ministro, da tutti stimato per l’austerità dei costumi, l’integrità morale e la profonda vita di pietà.
Nel 538, mentre già divampava la guerra greco-gotica che contrappose l’Impero Romano d’Oriente agli eredi di Teodorico nella contesa di parte dei territori italiani, amareggiato dal fallimento del governo ostrogoto, abbandonò definitivamente la carriera politica per dedicarsi ai prediletti studi di Sacra Scrittura. Dopo la conquista di Ravenna nel 540 da parte delle truppe imperiali, di lui si perdono le tracce. Lo si ritrova nel 545 prigioniero al seguito di papa Vigilio, prelevato per subire a Bisanzio le imposizioni di Giustiniano.
Fecondissimo fu l’ultimo periodo della vita dopo la liberazione e il rientro nelle sue proprietà di Squillace. Ivi fondò sulla riva del fiume Pellene e sul monte Castello il monastero di Vivarium, ossia “Acque vive”, così denominato dall’abbondanza di sorgenti nel sito oppure dai vivai di pesci ad uso della comunità. Secondo le più recenti ricerche, sorgeva in località Copanello di Stalettì, là dove oggi sono appena visibili i ruderi di una chiesetta: probabilmente quella di San Martino, dove forse lo stesso Cassiodoro fu seppellito «sazio di giorni», intorno al 580. Inoltre, sul vicino promontorio dove oggi è la chiesa di Santa Maria del Mare, comprendeva alloggi e dipendenze rurali quali orti, mulini, vigneti e uliveti; come pure una zona disseminata di grotticelle riservata a quanti, dopo l’esperienza cenobitica, si sentivano chiamati a quella eremitica.
Centro vitale del complesso monastico era la biblioteca con l’annesso scriptorium per la raccolta e copiatura di manoscritti greci e latini: una novità rispetto ad altre comunità religiose dell’epoca e modello a cui si sarebbero ispirati i monasteri medievali.
Per ciò che riguarda la ripartizione del lavoro, ai monaci letterati, suddivisi in notarii, rilegatori e traduttori, che si occupavano della biblioteca, il fondatore volle affiancare anche gli altri destinati ai lavori manuali e agricoli. Dal punto di vista religioso, sembra che Vivarium seguisse le più comuni regole monastiche contemporanee. Espressamente raccomandate erano le opere di carità, e insieme a queste gli studi di medicina per l‘assistenza ai monaci e ai pellegrini infermi. Pare anche che il laico Cassiodoro (non fu mai presbitero né vescovo) rivestisse un ruolo puramente patronale, esterno alla vita monastica.
Colui che lo storico Franco Cardini ha definito il “padre delle biblioteche d’Occidente” fece preparare tre edizioni differenti della Bibbia e si occupò di far copiare molti testi della patristica occidentale. Non mancavano però nella biblioteca vivariense quelli classici profani (dobbiamo a Cassiodoro e ai suoi amanuensi il salvataggio, tra le altre, di opere come le Antiquitates Judaicae di Flavio Giuseppe).
Quanto alle opere scritte da lui, che furono numerose, di alcune – d’argomento storico e politico – possediamo solo frammenti, mentre di altre ci resta il sunto fatto da Giordane, storico bizantino al servizio dei goti: è il caso della Historia Gothorum, prima storia nazionale di un popolo barbarico, tesa a glorificare la dinastia degli Amali, la stirpe regnante.
Nella produzione superstite occupano un posto speciale le Variae, dodici libri assai utili per conoscere le istituzioni, le condizioni politiche, morali e sociali di goti e romani nell’Italia dell’epoca. Tra le opere di carattere esegetico e spirituale spicca la Expositio Psalmorum, commento ai Salmi che il Venerabile Beda stimò non inferiore a quelli di Crisostomo e di Agostino. La più importante del periodo di Vivarium è rappresentata dalle Institutiones divinarum litterarum, ricche di informazioni sulla vita e i lavori intellettuali dei monaci.
Per papa Benedetto XVI, Cassiodoro «fu modello di incontro culturale, di dialogo, di riconciliazione. Le vicende storiche non gli permisero di realizzare i suoi sogni politici e culturali, che miravano a creare una sintesi fra la tradizione romano-cristiana dell’Italia e la nuova cultura gotica. Quelle stesse vicende lo convinsero però della provvidenzialità del movimento monastico, che si andava affermando nelle terre cristiane. Decise di appoggiarlo dedicando ad esso tutte le sue ricchezze materiali e le sue forze spirituali».
Centrale è, nel suo insegnamento, la preghiera alimentata dalla Parola rivelata, quale nutrimento necessario per ogni cristiano. Mentre ai suoi monaci dediti alla ricerca di Dio raccomandava, insieme all’aiuto della grazia, quello offerto dalle scienze profane e dal patrimonio culturale costituito dalle superstiti opere degli autori classici.
Chi si reca oggi a Squillace troverà nel sito di Roccelletta di Borgia, insieme ai grandiosi ruderi di una chiesa normanna, importanti resti della Scolacium romana, mentre rimarrà deluso dalle scarse vestigia relative a Vivarium, compensato soltanto dai luoghi veramente incantevoli. Evidentemente l’eredità di Cassiodoro va cercata non tanto nei resti materiali, quanto nella semina mediante la quale fecondò la cultura del nostro Occidente. Come ha giustamente rilevato ancora papa Benedetto XVI: «Viviamo […] anche noi in un tempo di incontro delle culture, di pericolo della violenza che distrugge le culture, e del necessario impegno di trasmettere i grandi valori e di insegnare alle nuove generazioni la via della riconciliazione e della pace».