Caspio: mare o lago?

Non è ancora stato definito lo status giuridico del bacino interno più grande al mondo ricco di petrolio e di gas
Caspio

Un altro degli scenari del grande gioco allo sfruttamento e al trasporto di petrolio e gas è quello del bacino del Mar Caspio. Vi si affacciano: Russia, Iran, Azerbaigian, Turkmenistan e Kazakistan e si stima che raccolga il 3 per cento delle riserve mondiali di greggio ed il 4 per cento di quelle di gas. Si tratta del più esteso bacino di acque salate al mondo, con i suoi 371.000 km2 di superficie. Lungo 1200 km e largo al massimo 400 km circa, riceve acqua da fiumi come il Volga e l’Ural ma non possiede un emissario (tecnicamente è un bacino endoreico).

 

Una prima questione riguarda la sua natura geografica. Infatti, se lo status di questo bacino venisse definito come lago sarebbero da applicare le norme di diritto internazionale consuetudinario, ma nel caso in cui lo si riconosca come un mare, sarebbe vigente il diritto marittimo internazionale. Durante i secoli la Russia zarista e la Persia, e successivamente l’Unione Sovietica e l’Iran, avevano risolto la questione attraverso dei trattati che stabilissero lo sfruttamento delle acque pescose e delle riserve naturali del Caspio. Attualmente, infatti, i due Paesi hanno interessi coincidenti per gli importanti scambi commerciali. Mosca spesso non ha preso parte alle manovre volte a isolare politicamente l’Iran.

 

Dopo lo scioglimento della URSS la questione si è fatta più complessa dato che sono apparsi nuovi Stati rivieraschi: Azerbaigian, Kazakistan e Turkmenistan, i quali rivendicano altri criteri di suddivisione e di uso delle acque e dei fondali poiché quelli vigenti non li tutelano. La proposta iraniana di un uso “in condominio” non è accettata da tutti, i russi propongono di risolvere di volta in volta le singole questioni, stabilendo acque territoriali e accordando lo sfruttamento del resto dello specchio d’acqua, mentre i fondali andrebbero suddivisi tra i cinque Paesi rivieraschi. Gli altri tre Paesi, con qualche differenza, accetterebbero una definizione di mare chiuso assegnando con precisione i fondali sulla base delle linee mediane.

 

Finora non ci sono state grosse tensioni sul tema ed è probabile che, se non intervengono ulteriori fattori esterni, la questione si mantenga in equilibrio o che si giunga ad una soluzione. Ma bisogna tenere conto dello scenario generale della produzione di idrocarburi. Mentre la domanda appare in aumento, grazie alla crescita di Cina e India in modo eccezionale, l’offerta produttiva non è detto che segua questa tendenza, semmai il contrario. Per alcuni il 2014 dovrebbe essere l’anno di picco della curva di produzione, oltre al fatto che non è detto che sia possibile aumentarla peché nel Golfo Persico si lavora da tempo a pieno ritmo. Ciò già da tempo ha fatto sì che siamo entrati in una corsa per il controllo della produzione di greggio o delle sue vie di trasporto (vedi caso Iraq e Afghanistan), che cerca di stabilire egemonie su scala globale o regionale. In tal senso, ad esempio, la Cina è passata da 1,7 milioni di barili di crudo al giorno nel 1980, a 7,4 milioni nel 2006. Oggi il Paese asiatico è ben lungi dall’aver raggiunto il suo picco di sviluppo, assorbe il 10 per cento della produzione giornaliera di greggio. Cosa accadrà se in materia di consumi anche un colosso come l’India aumentasse il suo fabbisogno di energia?

 

Dopo il collasso dell’Unione Sovietica, mentre la neonata Comunità di Stati indipendenti era ancora "in stato confusionale", gli Stati Uniti elaborarono una strategia destinata a soppiantare l’egemonia russa nel trasporto di greggio. Washington patrocinò l’idea di un oleodotto che dal Mar Caspio evitasse di passare per la Russia. Nacque così il BTC, l’oleodotto che partendo da Baku in Azerbayan, passa da Tblisi in Georgia per poi toccare la sponda mediterranea di Ceyhan in Turchia (il nome deriva proprio dalle iniziali delle tre città interessate). Un investimento da 4 miliardi di dollari che fa leva sui Paesi amici e in concorrenza con la Russia. Ci volle la spregiudicatezza, la capacità e la determinazione di Putin per rimettere nelle mani dello Stato il settore petrolifero prima, e per riprendere, poi, il potere di iniziativa col fine di evitare di essere politicamente accerchiati dagli alleati della Casa Bianca. Ma quali reazioni potrebbero motivare la realizzazione del Nabucco, un gasdotto che la Russia considera contrario ai suoi interessi, dato che il suo tracciato è stato disegnato anch’esso per evitare di passare dal suo territorio? Se a tutto ciò aggiungiamo la prossimità del bacino del Caspio all’area del Caucaso, altamente instabile, si comprende quanto la prudenza dovrebbe reggere le decisioni geopolitiche in questa parte dello scacchiere mondiale. 

 

In questo, come in molti altri casi, in realtà dovrebbe prevalere il comune interesse della gestione delle risorse energetiche che si annunciano sempre più scarse in un mondo che ne ha sempre più bisogno. D’altra parte, le difficoltà in materia di sfruttamento delle risorse energetiche sta diventando spesso il canale di risoluzione di contenziosi territoriali: la Russia ha affrontato e risolto in questo senso questioni spinose con la Norvegia sul mar di Barents, e col Kazakhstan su Kurmangazy, e lo stesso hanno fatto Azerbaigian e Turkmenistan su Sha-Deniz. Sulla base di tali esperienze si potrebbero certo elaborare, in materia di sfruttamento di queste risorse, visioni più lungimiranti basate sulla cooperazione. 

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