Il caso Zaki e il rispetto dei diritti umani in Egitto

Al di là dell’emozione per la scarcerazione di Patrick Zaki (che comunque non è stato assolto) dopo 22 mesi di detenzione preventiva, qual è la situazione giudiziaria del ricercatore egiziano? Sembra che anche il governo avverta la necessità di fare passi avanti sui diritti umani: molti si chiedono se saranno reali.
Patrick George Zaki, nella foto con la sorella, foto EIPR e Ap.

Della vicenda di Patrick George Michael Zaki Suleiman (nomi che rivelano l’appartenenza ad una famiglia di cristiani copti) si sta parlando da due anni in mezzo mondo. Per fortuna, perché senza questa notorietà e il coinvolgimento dell’opinione pubblica internazionale non si sarebbe forse verificata nessuna scarcerazione in attesa di giudizio. Il giudice del tribunale di Mansura che ha ordinato la scarcerazione dello studente egiziano dell’Università di Bologna, detenuto in attesa di giudizio da 22 mesi (al limite dei 2 anni consentiti dalla legge), non poteva certo ignorare che riconfermare per l’ennesima volta la carcerazione preventiva era diventato difficilmente sostenibile e soprattutto controproducente per l’immagine del Paese e le sue aspirazioni, al di là di ogni retorica.

In aula, all’udienza per decidere il rilascio o il rinvio a giudizio di Zaki, erano presenti un legale dell’ambasciata italiana al Cairo, funzionari delle ambasciate di Stati Uniti, Spagna e Canada, e un avvocato della Delegazione dell’Unione Europea. Patrick Zaki, com’è noto, ha il sostegno dichiarato di Amnesty International e di Human Rights Watch, di moltissime Università, oltre ad un grande numero di personalità internazionali, associazioni, studenti e cittadini di mezzo mondo.

In Egitto non è così per molti altri difensori dei diritti umani, oppositori politici e giornalisti arrestati: i numeri che circolano (ovviamente difficili da verificare) parlano di 60-100 mila prigionieri politici e di oltre mille oppositori scomparsi dal 2014. Patrick Zaki è solo uno delle decine di attivisti per i diritti umani attualmente sottoposti a processo, e di cui si conoscono nomi, cognomi e storie.

Quindi Zaki è stato scarcerato e convocato per la prossima udienza del 1 febbraio 2022, con un’unica accusa rimasta realmente in piedi: diffusione di notizie false contro lo Stato. Un bel passo avanti, che comunque gli potrebbe costare 5 anni di carcere, rispetto all’armamentario iniziale. Perché all’inizio di questa vicenda, a febbraio 2020, venne accusato oltre che di diffondere notizie false, anche di incitare alla violenza, di attentare contro il governo, di usare i socialmedia contro la sicurezza nazionale e di fare propaganda per gruppi terroristici. Roba da 25 anni di galera ad essere molto ottimisti. E tutto basato su una manciata di foto fatte sulle pagine di Facebook e su qualche articolo pubblicato su Daraj Media, un agguerrito sito che denuncia le imparzialità che riscontra nei media arabi. Un articolo di Zaki pubblicato nel 2019, in particolare, documenta – in modo decisamente credibile – la discriminazione nei confronti di alcuni cristiani copti da parte di istituzioni e funzionari locali. Un altro difende il diritto delle donne cristiane di avere pari diritti e opportunità nelle eredità rispetto ad altri parenti ed eredi maschi.

Notevole anche il ruolo svolto nella difesa di Zaki da una delle maggiori ong egiziane che si occupano di diritti umani: Eipr (Iniziativa egiziana per i diritti personali). Zaki aveva lavorato con loro come ricercatore prima di ottenere la borsa di studio Erasmus Mundus per l’Università di Bologna. Alcuni dirigenti di Eipr sono stati arrestati, a dicembre 2020, e poi rilasciati su esplicita richiesta del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu. L’avvocata di Eipr, Hoda Nasrallah, che difende Zaki in tribunale, insieme ad altri legali, è riuscita nonostante tutto a far annullare una parte delle accuse, quelle relative ai post su Facebook, riconosciuti come desunti da pagine non collegabili all’account dell’imputato, e che Patrick Zaki stesso ha sempre negato di aver scritto.

Che l’Egitto abbia bisogno di trovare una strada per realizzare un migliore rispetto dei diritti umani è un’esigenza che emerge dal basso della società egiziana, ma è in qualche modo avvertita anche dal regime politico.

Il presidente egiziano al Sisi ha recentemente ammesso, parlando alla cerimonia per la presentazione della prima “Strategia nazionale per i diritti umani”, l’11 settembre 2021, che l’avvio di questa strategia “non è altro che un passo iniziale di migliaia di passi verso un moderno Stato democratico che rispetta e promuove i diritti umani del suo popolo”. Molti temono che queste parole nascondano soltanto una mossa per recuperare una credibilità che non gode di molto credito. Ma la presidente di turno del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, Nazhat Shameem Khan, ha voluto congratularsi per queste dichiarazioni ed ha definito la scelta egiziana un “passo importante verso la promozione e protezione dei diritti umani” nel Paese.

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