Caso Palamara, grave crisi di fiducia nella magistratura

Le ulteriori intercettazioni divulgate, relative all'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) Palamara, rappresentano una ferita che richiede l’intervento del presidente della Repubblica
Luca Palamara, foto LaPresse

La magistratura italiana è di nuovo a centro di una polemica molto seria a proposito delle intercettazioni rese pubbliche da alcuni giornali relativamente a Luca Palamara, ex consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) nonché ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM,  principale organo di rappresentanza dei magistrati) coinvolto in alcune vicende giudiziarie da accertare su casi presunti di corruzione.

In uno di questi colloqui telefonici del 2018 è emersa la volontà di Palamara di voler colpire l’allora vice presidente del consiglio Matteo Salvini per la questione della chiusura dei porti ai migranti raccolti in mare. Tesi non condivisa dall’interlocutore, un altro magistrato, anche in base al favore popolare dell’allora ministro degli Interni leghist,a che ora ha chiesto l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura. Altre intercettazioni dimostrano la larga confidenza dell’ex presidente del Csm con alcuni giornalisti.

Cos’altro ci dicono le ulteriori intercettazioni del cellulare di Luca Palamara, il potente pubblico ministero (e già l’aggettivo ci introduce alla questione)? Beh, intanto si vedono entrare in scena altri soggetti, oltre ai soliti politici: i giornalisti. Ma forse è bene premettere qualche annotazione. Innanzitutto le intercettazioni, di per sé, sono da aborrire se rese pubbliche al di fuori di un contesto penale, nella fase di pubblicazione degli atti.

Ahinoi, però, come si fa a disconoscere il rilievo pubblico di certe conversazioni private? Quindi bisogna accostarsi a questo “buco della serratura” senza pruderie, con un distaccato desiderio di conoscenza e di comprensione: base per una risposta consapevole.

Poi: è senz’altro inutile stracciarsi le vesti o puntare gli indici; è necessaria solo un’analisi veritiera, anch’essa base per una risposta consapevole. Proviamo quindi a leggere dentro le ultime notizie (alquanto in sordina, in verità) dal mondo della magistratura.

Siamo quindi al triangolo: magistratura-politica-informazione e la presa di coscienza della parte giocata da quest’ultima è particolarmente cruciale. Viviamo immersi nell’informazione ormai come il pesce nell’acqua e come il pesce non ci rendiamo più conto dell’acqua. Le nostre opinioni sono determinate dall’informazione ma non ci si rende conto del tutto che quella premessa ha un limite: se la qualità dell’informazione non è almeno sufficiente sotto il profilo della obiettività, le nostre opinioni saranno manipolate. E forse è questa la ragione per cui il ruolo della comunicazione oggi è così pervasivo.

Ormai il binomio “politica e comunicazione” ha acquisito l’accento sulla e, cosicché i giornalisti di punta (carta stampata e televisione in primis) sono – non da ora – tra i veri potenti, superati solo dagli addetti alla comunicazione dei politici di primo piano. Tutto ciò si capisce d’un lampo, basta leggere solo qualche messaggino scambiato dal pm Palamara con qualche giornalista da prima pagina.

Non si può (e non si vuole) fare di tutt’erba un fascio, ma per non cadere in una banalizzazione negazionista, è necessario chiamare le cose con il loro nome: siamo davanti a una diffusa corruptio (cor-ruptio, rottura del cuore) dei legami fiduciari che intessono e reggono la struttura della società conferendole fisionomia e identità, rendendola comunità.

La malattia è grave, anzi è mortale, se non si cura. Inserire in una ipotesi di reato contestata a un ex ministro, già di per sé choccante, l’elemento della cospirazione da parte della magistratura, lo si capisce, è qualcosa che mina alla radice la stessa stabilità democratica. E poi, tutto dipende da come vengono raccontate, le cose…

Di certo è necessario fare qualcosa per recuperare un minimo di autorevolezza della magistratura. In un’intervista amara e indignata rilasciata da Paolo Mieli su questi temi, l’intervistatore lo incalzava con la domanda: “E allora, che fare?” vedendosi smontare tutte le proposte. “Mandare tutti a casa” è la soluzione di Mieli. Si potrebbe anche dire “Ricominciamo da capo”, ma al momento non si vede come. La corruptio in cui ci troviamo non lascia molte possibilità né al Governo né al Parlamento di essere davvero incisivi e dare la sterzata necessaria.

La situazione è talmente grave che richiede un intervento del Capo dello Stato, che di certo non mancherà. Qualche mese fa ha ritenuto di non dover arrivare a sciogliere il Consiglio Superiore della Magistratura, pur nella bufera delle trame di potere che investiva la scelta dei componenti. Vedremo come procederà.

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