Il caso italiano e i mali da sconfiggere

Quale futuro dobbiamo aspettarci per il nostro Paese? Le principali questioni economiche e la riscoperta di una storia originale

«Non capiamo la crisi dell’Europa del Sud senza prendere sul serio lo smarrimento della sua anima economica e civile. Del suo diverso spirito del capitalismo». Luigino Bruni racconta, in Città Nuova n. 3/ marzo 2018, le diverse storie, i diversi capitalismi per capire la natura e le peculiarità del «capitalismo italiano, meridiano, cattolico, comunitario, “civile” … La nostra economia soffre anche per mancanza di pensiero, che le impedisce di capire che per riformare la scuola, il lavoro, l’assistenza, le comunità, le cooperative, le banche, c’è bisogno prima di capire lo specifico che un territorio, una storia, un’anima hanno generato nei secoli».

È, pertanto, necessario fare le riforme strutturali in Italia e in Europa salvaguardando la biodiversità dei capitalismi. I luoghi infatti hanno un’anima, che deve essere salvaguardata nel cambiamento.

Nodo Fiscal compact

L’Unione europea dovrebbe riconoscere questa biodiversità senza pretendere di uniformare tutti i Paesi   in una triste gabbia chiamata Fiscal compact. Questo Trattato deve essere abolito dopo aver inferto grandi sofferenze, senza evidenti benefici e dopo aver alimentato i populismi con la crisi dei partiti tradizionali al governo. Questa “gabbia aritmetica” è insostenibile per molti esperti. L’Italia non riesce a sopportare un taglio di 50 miliardi all’anno per rientrare nei parametri di Maastricht nel rapporto debito pubblico-Pil del 60% in 20 anni. Si alimenterebbe solo recessione. Sono invece possibili piani di lieve riduzione in un tempo adeguato con spesa pubblica produttiva come investimenti in infrastrutture, che ridurrebbero il debito, grazie ad interventi con effetti moltiplicativi.

Uno dei principali motivi di preoccupazione per l’Italia di oggi è il livello del debito pubblico (cfr.  Benedetto Gui in Città Nuova online). Un lascito da un governo all’altro. Già nel 1996 il debito superava il 120% del Pil. Ora è di oltre il 130%. Un’Italia superindebitata può permettersi maggiori spese e minori tasse come promesso in campagna elettorale? È vero che poi i conti pubblici miglioreranno?

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Avviare un circolo virtuoso

Nel nostro Paese la crisi non sembra finire mai. La montagna del debito pubblico ci schiaccia e rallenta la crescita. Evasione fiscale, corruzione, eccesso di burocrazia, lentezza della giustizia, crollo demografico, divario tra Nord e Sud, difficoltà a convivere con l’euro affliggono la nostra economia secondo Carlo Cottarelli in Sette peccati capitali dell’economia italiana (Feltrinelli, Milano 2018).

Nonostante alcun progressi limitati in questi ultimi anni attraverso le diverse riforme, rimaniamo indietro rispetto agli altri Paesi sviluppati. Dobbiamo risolvere i problemi di lungo periodo e recuperare produttività e competitività senza dover lasciare la moneta unica e l’Europa. Non abbiamo la valvola di sfogo della svalutazione della lira, come in passato. «… i peccati di cui parlo sono tra loro collegati. In un Paese con una burocrazia troppo macchinosa, la corruzione è più frequente. Inoltre, è più difficile combattere l’evasione fiscale, anche perché il contribuente paga meno volentieri se sa che i propri soldi alimentano una inefficiente burocrazia. In un Paese corrotto si tenderà poi ad introdurre più controlli amministrativi, aumentando ulteriormente il peso della burocrazia. In un Paese in cui ci sono poche risorse da destinare all’assistenza infantile perché si evadono troppe tasse, si fanno meno figli e si cresce di meno. Se la giustizia è lenta, diventa più difficile combattere corruzione ed evasione fiscale. E così via. Questa interrelazione tra peccati è però anche un vantaggio: risolvere un problema permette di risolverne altri. Quel che dobbiamo fare è proprio avviare un circolo virtuoso» (C. Cottarelli, op. cit.  p. 8-9).

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Il quadro attuale

Pertanto occorre rimboccarsi le maniche, avere pazienza, perseveranza e lungimiranza. Abbiamo le virtù per poterlo fare. La nostra economia è cresciuta poco negli ultimi 20 anni. Ha accelerato nel 2017 ma meno di altri paesi sviluppati. Senza correggere i nostri errori lo svantaggio rimane. Una riduzione dell’evasione è stata registrata nel 2015 ma si continua ad evadere molto più che nella maggior parte dei Paesi avanzati, circa 130 miliardi di euro. Sforzi nella prevenzione della corruzione e nella riduzione dell’eccesso di burocrazia sono stati fatti di recente. Si è avuto un miglioramento rispetto agli anni ’80 ma rimaniamo indietro. Il numero dei casi pendenti nella giustizia si è ridotto molto dal 2009 ma i tempi sono molto più elevati che all’estero.

Nessun segno di miglioramento per il crollo demografico. La caduta del tasso di fertilità è di lunga data. Il divario tra Nord e Sud rimane rilevante nonostante qualche segnale di recupero. Il problema è secolare. La perdita di competitività nell’area euro si sta contraendo rispetto alla Germania ma non al confronto con i Paesi del Sud Europa. Occorre una trasformazione economica profonda. Essa richiede un cambiamento sociale e culturale, a partire dal civismo e dal capitale sociale. Diventare europei significa rispettare le regole, superare l’italico individualismo, fare delle scuole e delle famiglie vere fucine del nuovo senso civico, compresa l’educazione alla cittadinanza e alla Costituzione. Insomma, occorre un cambio di passo, un robusto consenso nella classe dirigente e nella società per riforme strutturali non più rinviabili.

«Come non bastano le antiche glorie a darci la grandezza presente, così non bastano i presenti difetti a toglierci la grandezza futura, se sappiamo volere, se vogliamo sinceramente rinnovarci». (Piero Gobetti, 1918)

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Un futuro possibile per l’Italia

L’economia coinvolge la vita di tutti noi. Dove stiamo andando e che cosa possiamo fare per uscire dal lento declino? Siamo ancora in tempo ma dobbiamo capire i meccanismi che disciplinano rapporti tra noi e lo Stato e prendere le adeguate decisioni per le nostre famiglie e per il nostro avvenire. Dobbiamo conoscere la verità dei fatti e usare il pensiero critico con chi ci propone soluzioni facili e non sostenibili. Perché l’Italia cresce poco? Perché crea pochi posti di lavoro? L’incubo consiste in un possibile attacco degli speculatori con uno spread alle stelle e i titoli che crollano, come nel 2011, quando nell’ottobre del 2019 Mario Draghi cesserà dal suo mandato nella Bce. Il Quantitave Easing finirà smettendo di comprare titoli di Stato italiani. È pertanto urgente completare le riforme strutturali con maggiore attenzione alla povertà e affrontare l’annosa questione del debito pubblico. Il nuovo governo non può fuggire da questa realtà. Non basta una crescita dell’1,5% per risolvere tutti i problemi ma almeno del 2% per un periodo abbastanza lungo. Il debito è la palla al piede dell’economia italiana, sintesi di tutti i pregressi vizi capitali.

Dobbiamo capire perché l’Italia non cresce di più, perché l’instabilità politica nuoce alla crescita, quali sono le cause della disoccupazione giovanile, la natura della vera frattura tra protetti e non, tra inclusi ed esclusi, tra privilegiati e svantaggiati, tra Nord e Sud. Il processo di modernizzazione non può essere lasciato a metà.

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Alcune domande e i quattro mali da sconfiggere

Perché le banche non sostengono di più le imprese? Gli italiani sono i più tartassati d’Europa? Perché un tasso così alto di evasione? I giovani avranno una pensione dignitosa? La riforma Monti-Fornero era necessaria? Troppe sono le iniquità nel sistema pensionistico. Questo euro ci aiuta o ci danneggia nonostante i nobili pilastri del progetto europeo? Queste alcune domande che pone Alan Friedman in Dieci cose da sapere sull’economia italiana prima che sia tropo tardi (Newton Compton Editori, Roma 2018). Occorre però una classe dirigente credibile e consapevole. Serve un progetto di ampio respiro che coinvolga crescita, lavoro, produttività, debito, banche, imposte, previdenza, mercati, Europa, controllo della spesa pubblica. Non basta galleggiare con governi instabili. Il genio italiano deve potersi manifestare nel talento, professionalità, fantasia, energia, estro, eccellenze.

Occorre però un progetto stabile per almeno 10 anni, oltre la rabbia, la rassegnazione e i quattro mali indicati da Leonardo Becchetti in Avvenire del 4 aprile 2018: partigianeria più che argomentazioni, livello medio di competenza insufficiente, fuga dalla realtà, tatticismo esasperato delle forze politiche.  Sembrano pensare infatti più ai loro interessi elettorali che al bene comune del Paese. La cura è difficile ma efficace se continua e coerente nel tempo e se ispirata da un cambio di paradigma, come indicato ampiamente da Zamagni, Bruni ed altri, attraverso lo sguardo nuovo e antico dell’economia civile sulla realtà.

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