Caso Alitalia ad una svolta
Eccoci nuovamente ad affrontare il dossier Alitalia, a due anni dalla sconfessione da parte dei lavoratori del contratto di solidarietà concordato dai sindacati a fronte di una ricapitalizzazione di due miliardi da parte di Unicredit, Banca Intesa ed Ethiad.
Il salvataggio allora rifiutato prevedeva generosi ammortizzatori sociali per l’otto per cento del personale in esubero ed una analoga riduzione degli stipendi: condizioni evidentemente considerate non coerenti con quelle concesse anni prima agli ottomila dipendenti messi fuori ruolo quando Alitalia era stata privatizzata, che prevedevano scandalosi dieci anni di cassa integrazione all’80% dell’ultimo stipendio – anche quando questo era di 20.000 euro al mese – finanziati con 220 milioni di euro all’anno estorti agli italiani tramite una addizionale sui biglietti aerei.
Quel rifiuto sta ancor oggi provocando allo Stato che ha deciso di mantenere in piedi Alitalia perdite annuali di 450 milioni, 41.000 euro per ognuno degli undicimila dipendenti: mi pare sia pienamente giustificato ripetere in questo caso la espressione in passato usata per la Fiat: «Meno male che di Alitalia ve ne è una sola!».
Questa ultima azienda decotta rimasta in vita dopo la privatizzazione della industria pubblica, svolge un servizio di trasporto aereo ormai marginale: non si capisce come mai continui ad avere protettori così potenti, soprattutto pensando che oggi al potere vi sono politici decisamente diversi da quelli che la hanno protetta in passato: certamente conta il fatto che è una azienda che vive nella capitale e forse il fatto che se i politici sono cambiati non lo sono i burocrati, usi ad esercitare la loro influenza soprattutto quando la politica è incerta.
Accettando la attuale decisione “politica” che l’Alitalia non può fallire, come farla tornare ad essere una azienda strategica per l’Italia?
Lo tornerebbe se riuscisse a convincere le agenzie turistiche del mondo, quelle che organizzano i venticinque milioni di turisti di altri continenti che vengono in Europa, a programmare l’Italia come primo punto di approdo, invece che la Francia, la Spagna, la Germania o l’Inghilterra: ce lo meriteremmo, dato che la maggior parte delle opere d’arte e delle attrattive turistiche sono nel nostro Paese.
In questo senso può essere positivo l’aver affidato il risanamento alle Ferrovie dello Stato, che gestisce i treni veloci e ad Atlantia che oltre alle autostrade gestisce l’aeroporto di Fiumicino: non solo per la loro capacità finanziaria, ma soprattutto perché in grado di formulare una efficace strategia di accoglienza, contenendo l’impatto ambientale legato al movimento turistico: sarebbe possibile sostituendo i bus turistici ed i voli di trasferimento interni con treni veloci in partenza da Malpensa e Fiumicino per trasportare i viaggiatori in tempi molto ridotti direttamente alle città d’arte ed alle località turistiche.
Il socio Atlantia potrebbe migliorare ancora l’accoglienza negli aeroporti, i soci Ferrovie dello Stato e Delta Airlines indurre Alitalia a dedicarsi ai voli di medio e lungo raggio abbandonando i collegamenti con le città italiane non insulari, riducendo di dieci volte grazie al trasporto in treno la emissione di anidride carbonica, come sottolineato da Greta Tumberg quando per incontrare i giovani ed il papa ha viaggiato in treno da Stoccolma a Roma.
Se il personale Alitalia dimostrerà questa volta la flessibilità necessaria, il migliaio di lavoratori di terra ancora in esubero per riequilibrare i costi, troveranno probabilmente posto nell’ambito di Ferrovie dello Stato, di Atlantia e di Delta Airlines che complessivamente impiegano 210.000 lavoratori.