Case abbattute in un villaggio beduino

I bulldozer israeliani sono arrivati la mattina di mercoledì 8 maggio 2024 ed hanno raso al suolo una cinquantina di abitazioni. Anche se temuto e quindi non inatteso, lo “sgombero radicale” è stato e resta un dramma per circa 300 abitanti beduini del quartiere Abu Assa di Wadi al-Khalil, nel Negev.
Il villaggio Al Ghara abitato dai beduini nel deserto del Negev, 22 novembre 2023. ANSA/Lorenzo Attianese

Case “illegali” le ha definite il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, leader del partito di estrema destra, alleato di Netanyahu, Otzma Yehudit (Potere ebraico), 6 seggi (su 120) al Parlamento israeliano ottenuti alle elezioni di novembre 2022.

Non si capisce questo fatto sconcertante se non si considera chi sono le vittime: le case abbattute appartenevano a beduini, che sono circa 300 mila in Israele. E se Ben Gvir, primo sostenitore dei coloni e degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e nel Negev, considera i beduini solo palestinesi (per di più di serie B), in realtà si tratta di una popolazione oggi semi-nomade che vive da sempre in quelle terre, spostandosi in cerca di pascolo per gli animali. Bisognerebbe anche dire che le tribù beduine hanno da sempre piantato le tende su quelle terre: lo facevano secoli prima del mandato britannico (1920) e dell’aliyah dei primi coloni ebrei.

Durante e dopo la nakba (catastrofe, in arabo), ai tempi della fondazione dello stato ebraico nel 1948, molti beduini se ne andarono o furono costretti a sfollare in Giordania e nel Sinai. Nel territorio semidesertico del Negev (che fino ad allora si chiamava Naqab) e in quella che oggi è la parte meridionale della Cisgiordania occupata, ne rimasero solo 10-11 mila, dei quasi 100 mila che vi abitavano fino ad allora. Quelli che rimasero ebbero la cittadinanza israeliana, ma vennero tenuti sotto osservazione in un territorio, limitato e controllato dall’esercito, che non a caso fu chiamato Siyaj, in arabo: recinto.

All’interno del Siyaj, fra il 1968 e il 1989 il governo stabilì 7 città dove i beduini furono autorizzati e indotti ad insediarsi. Chi di loro si rifiutò di lasciare la terra dei padri, si stabilì fuori dal recinto, in una trentina di villaggi ipso facto “illegali”, e Wadi al-Khalil è appunto uno di questi. Il motivo dichiarato per la demolizione (che non è stata certo l’unica) di Abu Assa, dell’8 maggio, è semplice: da lì deve passare il prolungamento verso sud della Trans-Israel Highway, l’autostrada 6.

Un villaggio abitato dai beduini nel deserto del Negev, 22 novembre 2023. ANSA/Lorenzo Attianese

Così nel 2019 è stato deciso di demolire Wadi al-Kalil ed altri 8 villaggi illegali. Ricorsi dei beduini: respinti. Rimborsi per le case abbattute: nessuno. In fondo erano solo abusivi illegali. Per la verità qualche anno fa fu loro “proposto” un trasferimento forzato in un quartiere “legale” di Umm al-Batin, distante alcuni chilometri, in un luogo dove era però molto evidente che non sarebbero stati accolti a braccia aperte dai residenti, per quanto anch’essi beduini, già alle prese con seri problemi di isolamento, affollamento, carenza di lavoro. Cosa faranno adesso i 300 rimasti “senza tetto” a Wadi al-Khalil? Probabilmente quello che hanno fatto molti altri scacciati in modo analogo dai loro villaggi abusivi: monteranno delle tende accanto alle macerie delle loro case. E ci resteranno fino all’arrivo dei prossimi bulldozer seguiti da coloni ebrei, dichiarati aventi diritto alle loro terre.

È doveroso aggiungere che i beduini israeliani del Negev, pur essendo musulmani e genericamente palestinesi, non vanno confusi con Hamas, ed hanno anzi avuto le loro vittime nell’attacco del 7 ottobre, quello che ha scatenato la guerra di Gaza: 7 sono stati uccisi dai razzi di Hamas e 15 dai miliziani che hanno fatto irruzione massacrando tutti quelli che incontravano. Tra i 240 ostaggi catturati dai miliziani nel raid del 7 ottobre, 6 sono beduini: 2 di loro sono stati poi rilasciati, degli altri 4 non si sa. Un autista beduino ha salvato 30 persone quel 7 ottobre, riuscendo a portarle in salvo con il suo autobus. L’unica persona rimasta ferita gravemente da droni e missili iraniani lanciati su Israele il 13 aprile è stata una bambina beduina di 7 anni. Esiste addirittura un battaglione beduino nell’esercito israeliano, che Netanyahu ha recentemente elogiato per il suo impegno.

Rahat, capitale beduina nel deserto del Negev, dopo la strage del 7 ottobre, gli abitanti attrezzarono un centro di coordinamento volontario per aiutare i sopravvissuti. Il presidente israeliano Isaac Herzog nell’incontro con le famiglie dei rapiti arabi, disse all’epoca: «Non è una guerra tra ebrei e musulmani».

Come riferiva Lucia Capuzzi in un articolo apparso su Avvenire il 23 novembre 2023 (L’esodo dei beduini palestinesi in fuga dai coloni), un anziano beduino commentò così le parole del presidente Herzog: «Ha ragione. Noi non c’entriamo con Hamas. Deve dirlo ai coloni, però. Anche se credo che lo sappiano ma non fa differenza».

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