Case a Milano: un problema di equità o di scarsità?
Riflessioni a margine della vicenda degli alloggi di pregio dati a basso costo a politici e professionisti.
La vicenda delle case del Trivulzio, azienda pubblica senza scopo di lucro, concesse a costi risibili a persone non indigenti riapre la questione della trasparenza nella gestione di appartamenti destinati alle fasce di popolazione più in difficoltà.
La lista – finalmente resa pubblica – delle persone che risultano disporre di tali appartamenti (circa 1.064) è imbarazzante: nomi di politici, giornalisti, avvocati, notai, medici, esponenti del mondo della cultura e dell’arte, che hanno potuto godere di vantaggi preclusi a tutti gli altri cittadini.
Un dedalo di nomi e di vie illustri entro cui è certamente necessario cercare di ricostruire singole vicende personali. Tuttavia un dato è evidente: il patrimonio abitativo dell’istituto è stato utilizzato più come strumento di scambio politico e per favorire alcuni interessi consolidati, che come strumento di redistribuzione della ricchezza, di sostegno alle fasce deboli della popolazione e di servizio alla comunità. Una vicenda che appare ancora più grave se contestualizzata nella città italiana in cui il disagio abitativo ha assunto ormai contorni drammatici.
La vicenda ci costringe ad interrogarci.
“Mancano le case”, “Bisogna costruire nuove case”: sono gli slogan comunemente adottati per spiegare la rilevanza della questione abitativa. Le case sono poche, la domanda supera l’offerta, dobbiamo costruire più case per ottemperare alle domande. Ma il problema è più complesso, – e anche quest’ultima vicenda lo dimostra – spesso la scarsità è più un problema di equità e di pari opportunità di accesso alle risorse che una questione di mera quantità (gli alloggi vuoti e sfitti a Milano sono diverse migliaia).
Un meccanismo che l’economista iraniano Majid Rahnema ha definito “povertà modernizzata”. Ovvero la scarsità nelle società moderne non esiste di per sé, è sempre esito di meccanismi di “produzione collettiva”: una produzione che ha uno stretto legame con la giustizia sociale e con il modo in cui una comunità interpreta e riproduce le proprie relazioni sociali, con il modo nel quale gestisce i beni collettivi. L’esito è vedere crescere una polarizzazione nelle società moderne tra sempre più ricchi e privilegiati, da un lato, e classi medie e poveri, dall’altra, sempre più povere.
E allora è necessario comprendere e denunciare tutti quei comportamenti opportunistici, quei meccanismi perversi che perpetuano le ingiustizie sociali.
Milano ha bisogno di una politica per la casa di sistema, non occasionale o ricalcata su singole emergenze, che lavori contemporaneamente sul sistema delle regole e dei meccanismi di accesso alla casa. Una prospettiva che richiede un soggetto pubblico capace di assumersi maggiori responsabilità, non solo come promotore edilizio, ma anche come soggetto di nuove offerte e come regolatore di un mercato spesso privo di regole e speculativo. Ma c’è bisogno anche di una società civile refrattaria ad ogni comportamento speculativo o opportunistico, che promuova comportamenti abitativi sul modello delle pratiche di “equità” che in vari campi si stanno sperimentando (consumo critico, sostenibilità delle azioni, economia civile). Al momento sono pochi e discontinui i segnali in questa direzione.