Casa coniugale e tutela della prole
Spesso le famiglie su cui s’abbatte l’incresciosa vicenda della separazione dei coniugi o addirittura del divorzio devono affrontare un ulteriore problema: il destino della casa coniugale. La legge stabilisce al riguardo che il giudice ne ddisponga l’assegnazione a favore – preferibilmente – del coniuge cui vengono affidati i figli minorenni o che conviva con quelli maggiorenni economicamente non autonomi (il cosiddetto “coniuge affidatario”). Ma può capitare che la casa (se di proprietà dell’altro coniuge) venga da questi venduta ad un terzo, nonostante che ne spetti al coniuge affidatario ed ai figli il godimento effettivo. Sarebbe un vero problema per quella famiglia, già segnata dal trauma della separazione o dello scioglimento del matrimonio. Ecco allora che una recente sentenza della Cassazione (n.11096/ 2002) in parte lo risolve, stabilendo che almeno per nove anni il coniuge ed i figli possono usufruire della casa; così come accade per chi conduce in affitto un immobile, che – se dispone di un regolare contratto di locazione stipulato prima della successiva vendita – non può vedersi negato il diritto a continuare ad occuparlo e goderne per almeno nove anni, appunto, dall’inizio della locazione. I giudici della Cassazione hanno motivato tale decisione in considerazione dell’importanza fondamentale che assumono la “comunità domestica” – di cui fanno parte a pieno titolo non solo i coniugi, ma anche (se non soprattutto) i figli, a maggior ragione se minorenni o maggiorenni e non autonomi dal punta di vista economico – e il luogo in cui essa si svolge. E poco importa – hanno sostenuto ancora i giudici – che l’assegnazione della casa coniugale non risulti pubblicizzata presso l’ufficio dei registri immobiliari, dove appunto si rendono “pubblici” tutti gli atti relativi a beni immobili: per il detto periodo di nove anni prevale il diritto del coniuge su quello del terzo eventuale acquirente della casa. Del resto la legge (n.392/78) già stabilisce che – in caso di separazione giudiziale, scioglimento del matrimonio o cessazione degli effetti civili dello stesso – nel contratto di locazione succede all’inquilino l’altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo. Pertanto non avrebbe senso negare questo diritto al coniuge affidatario solo perché non esiste un contratto di locazione stipulato dall’altro coniuge prima della separazione o del divorzio: questo diritto gli deve essere riconosciuto per il solo fatto che gli siano stati affidati i figli minorenni o comunque con lui convivano anche figli maggiorenni purché privi di reddito, e soprattutto – come si diceva – allo scopo di salvaguardare per quanto possibile la comunità di affetti e di sentimenti rappresentata anche dalla casa coniugale. Certo resta il fatto che i terzi ignari acquirenti dell’immobile potrebbero ritrovarsi ad aver sborsato un corrispettivo inutile, almeno per nove anni. Del resto lì dove – come nell’ipotesi in esame – concorrano interessi tra loro contrastanti (come quello della protezione della integrità di un nucleo familiare, da un lato, e quello della garanzia della posizione patrimoniale dei terzi, dall’altro) è giocoforza che l’ordinamento dia prevalenza ad uno solo di essi: salvo a verificare con esattezza – come la Corte ha ritenuto di poter fare nella sentenza ricordata – qual è realmente di volta in volta l’interesse da considerarsi prevalente, in conformità ai princìpi costituzionali e a quelli dell’ordinamento giuridico in generale. DIDASCALIA Il coniuge separato o divorziato cui è affidata la prole non può essere estromesso dalla casa coniugale a lui assegnata, anche in caso di vendita a terzi, per almeno nove anni: questo l’importante principio contenuto in una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione.