Casa Betania: nata dal cuore

Dal 1990 minori soli e mamme con figli in condizioni di fragilità trovano amore e ospitalità. Ma l’accoglienza si è poi allargata anche ai bambini con disabilità. Una realtà di volontariato cresciuta ben oltre le aspettative di Silvia e Giuseppe. Il riconoscimento “Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Primo di una serie di articoli su “Gli eroi del Presidente”
Casa Betania

La casa di Silvia e Giuseppe non è una casa come le altre. Intanto, non ha solo un indirizzo (via delle Casalanziane 12, in zona Pineta Sacchetti a Roma) ma anche un nome: “Casa Betania”. Sì, proprio come la casa di Marta, Maria e Lazzaro, gli amici di Gesù di Nazaret, quella dove lui si rifugiava, quando aveva bisogno di ritrovare pace e ristoro, il calore di una famiglia. L’altra caratteristica è che la loro è anche una casa famiglia, dove minori soli, mamme con figli, che si trovano in condizioni di fragilità, possono vivere e crescere al sicuro, nella certezza di essere amati, dal 1990.

«Ci siamo imbarcati in quest’avventura con altre famiglie e singoli riuniti nella Cooperativa L’Accoglienza. Quando abbiamo cominciato questo servizio, avevamo alle spalle diciassette anni di matrimonio e quattro figli. Siamo partiti con molta povertà, da un’esperienza in parrocchia, quando noi non eravamo più molto giovani. Mio marito, che è del 1929, stava andando in pensione ma con grande spirito e vivacità si è lanciato, e abbiamo vissuto qui, come famiglia residente per 15 anni» mi racconta Silvia al telefono.

Oggi, Giuseppe ha il morbo di Parkinson ma è una persona molto serena, mi spiega ancora lei: «La nostra vita è cambiata ma è ancora piena di tanto amore. Prima, ci alzavamo e poi era tutto un correre dietro alle cose e alle necessità dei bambini. Oggi, anche se viviamo ancora nel cuore della casa, condividiamo un tempo per noi due che non abbiamo mai avuto». Attraverso i muri del secondo piano di Casa Betania, le voci dei bambini e l’allegra frenesia del quotidiano giungono a Silvia e Giuseppe ovattati, mescolati al silenzio. In questo spazio, c’è anche il tempo di ricordare.

«Se mi guardo indietro, non posso non ripensare a quell’episodio, quando tutto è cominciato per noi due – mi racconta Silvia –. Eravamo sposati da circa un anno, e allora vivevamo a Milano. Una sera, nella nostra palazzina successe il finimondo, si sentirono grida, volarono bottiglie, cocci. Mio marito ed io rimanemmo chiusi in casa, paralizzati, senza sapere cosa fare. Ma l’indomani ci siamo vergognati della nostra indifferenza e abbiamo bussato alla porta dei nostri vicini, per chiedere se avessero bisogno di qualcosa. Così, scoprimmo che la moglie se n’era andata, ed era rimasto l’uomo, solo con due bambini piccoli. Quello è stato il nostro primo “affido”: ogni giorno, il nostro vicino si alzava alle 5 per andare a lavoro, e portava da noi i suoi figli».

Tutto è nato da un primo “no”, rammenta Silvia, ma «il Signore ci ha dato tante altre opportunità. Ancora quando eravamo a Milano, abbiamo accolto tanti bambini in affido, e siamo cresciuti come coppia e come famiglia. Ma ogni volta che qualcuno bussava alla nostra porta, prima ci fermavamo con i nostri figli, per capire se anche loro erano d’accordo». La famiglia Dolfini poi, si trasferisce a Roma. In cuore hanno il desiderio di fare un’esperienza di accoglienza in una casa famiglia ma ogni volta una porta si apre e poi si richiude subito.

«Ci siamo detti che forse dovevamo fermarci. La casa è arrivata a quel punto, in comodato d’uso, dalle suore Casalanziane, e le cose sono andate avanti. Ne è nata tutta una realtà di volontariato che è andata oltre le nostre aspettative. La cooperativa L’Accoglienza ha dato vita ad altre quattro case famiglia (Casa di Marta e Maria, Casa di Chala e Andrea, Casa di Jessica e Mauro, Casa sull’albero), l’accoglienza si è allargata anche ai bambini con disabilità, è stato aperto il centro diurno per l’infanzia “Nido d’Ape”, un laboratorio di lavoro per le mamme e una bottega equosolidale». Non c’è spazio per i rimpianti, nel cuore di Casa Betania.

«Tante volte, quando racconto la nostra storia, sembra che non ci siano state difficoltà ma non è così. C’è stato anche il dolore. Ogni persona che entra qui arriva con la sua valigetta che contiene cose, dolori, ferite, ricordi. Ogni bambino e ogni mamma apre la sua valigia a poco a poco, la svuota, riprende fiato, risana le ferite e poi, riempie la sua valigia di cose nuove e riparte per la sua strada».

Aprire, accogliere, condividere e poi riaprire le braccia e lasciare andare… Sembra il moto infinito e ricco di questo luogo che ha attirato lo sguardo anche del Presidente Mattarella. «Per la preziosa opera di accoglienza, sostegno e cura ai minori abbandonati, con disabilità e in condizioni di disagio sociale», Giuseppe e Silvia Dolfini sono stati nominati Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

La notizia, nel silenzio del secondo piano di Casa Betania, è giunta davvero inaspettata: «Perché proprio a questi due vecchietti? Un po’ ne sorridiamo, insomma…». “Non abbiamo fatto niente di speciale”, sembra sottintendere Silvia. «È proprio vero che la strada si fa camminando. Quando abbiamo cominciato, non avevamo idea che sarebbe successo tutto questo. Oggi sembra che questa società chieda sempre di camminare con delle certezze invece, la nostra esperienza è che ci vuole un margine di incertezza nella vita, che va affidato al Signore. Bisogna lasciargli lo spazio di chiedere. Poi, si è liberi di dire sì o no. Ma sempre bisogna fermarsi e lasciarsi fare la domanda».

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