I “Carmina Burana” del cinese Shen Wei
Del Coro, collocato in basso, tra l’orchestra e il proscenio, appaiono le sole teste. Immerse nel buio. Simili a teschi funerei. Sul palco sopraelevato, si aggirano, incappucciati, gli inquietanti clerici vagantes; mentre, in alto, sospesa, appare una donna coperta da lunghi capelli: la Fortuna Imperatrix Mundi, governatrice capricciosa dell’universo, dei fenomeni atmosferici e del destino degli esseri umani. Accanto a lei lentamente emergono, come figure fumettistiche, il sole, la luna, le nuvole, le stelle. Sono alcune delle folgoranti sequenze di apertura dei Carmina Burana secondo Shen Wei, l’eclettico artista cinese trapiantato a New York dove ha fondato, nel 2001, una sua compagnia, la Shen Wei Dance Arts, al quale il San Carlo di Napoli commissionò nel 2014 una versione coreografica della celebre opera cantata di Carl Orff (con l’aggiunta di 4 inedite Cantiones Profanae) impiegando tutte le prestigiose masse artistiche del Teatro. Un grande sforzo produttivo dell’ente lirico napoletano che lo vide impegnato in un gemellaggio col Teatro Mariinskij di San Pietroburgo dove lo spettacolo andò in tournée.
Che Wei sia un artista tout court (è anche pittore, scultore, designer), è ben manifesto dalla firma, oltre che coreografica e registica, delle scene, delle luci e dei costumi: una commistione che cerca di coniugare la raffinata estetica orientale con quella occidentale, il disegno calligrafico e zen con i più moderni segni astratti. Il celeste fondale − marchiato prima da un pittorico stelo con un bocciolo rosso e una foglia verde e una rinsecchita; poi da geometrici segni e da diafane silhouette − accoglie, nel corso del balletto, i cantanti dentro rigide fogge simili ad armature che ne bloccano i movimenti, statue di cui diventano anima; o incappucciati e in processione; mentre i danzatori sono striscianti figure serpentine o simili a chiocciole con aderenti calzamaglie pop e zebrate, o con body neri che sembrano cancellare gambe e braccia lasciando visibile solo il busto.
Qui, dentro specchianti pareti inclinate – siamo nella seconda parte – i danzatori si muovono in più astratte movenze alternate a duetti di corpi fluidi mossi dal respiro, a masse in corsa frenate da equilibri interrotti e cambi di direzione. Ancor prima sarà prevalsa una certa staticità con lente passerelle di donne in lunghi abiti verdi (e il rimando va a Pina Bausch), scandendo entrate e uscite da una serie di porte frontali, con il finale che vede la Fortuna salire su una stilizzata scala rossa che si perde nel buio.
L’impressione generale di questo racconto visionario sull’evolversi circolare della vita e dell’inesorabile Fato, è di uno scollamento nelle due parti dello spettacolo, nel brusco passaggio da un’atmosfera medievaleggiante e misteriosa a una più astratta e straniante. Se, visivamente, il talento di Shen Wei è indubbio nella sua sontuosa e originale costruzione spettacolare, si rimane perplessi sul versante della danza. Il suo stile post-moderno non rivela particolare estro coreografico. Risulta, anzi, alquanto banale in molti passaggi musicali, e ripetitivo in altri dove, invece, un più deciso e incisivo graffio gestuale avrebbe impresso potenza a un’opera già dal ritmo impetuoso e incalzante.
“Carmina burana”, di Carl Orff, coreografie, ideazione visiva, scene e costumi di Shen Wei; orchestra diretta da Jordi Bernàcer, Coro diretto da Salvatore Caputo, Coro di Voci Bianche diretto da Stefania Rinaldi, Corpo di Ballo diretto da Alessandra Panzavolta, con trentadue danzatori del Lirico e sette della Shen Wei Dance Arts; soprano Angela Nisi, tenore Valdis Jansons, baritono Ilham Nazarov.