Carlos Fuentes: distinto e rivoluzionario
Dieci giorni dopo la sua visita alla Fiera del Libro di Buenos Aires, lo scrittore Carlos Fuentes si è spento a Città del Messico, nella sua patria. Era venuto in Argentina a presentare il suo ultimo libro, un saggio sul romanzo latinoamericano, e in quell’occasione ho potuto anche salutarlo di persona. Parlava come un attore, un uomo di radio. Era un accattivante uomo di 83 anni che si presentava come un gentleman elegante. Un gentleman di sinistra. Le sue idee sono sempre state rivoluzionarie, il suo stile borghese, con i modi del diplomatico. Da giovane aveva vissuto in diverse capitali, seguendo suo padre che lavorava nelle ambasciate messicane: Panama, Montevideo, Rio de Janeiro, Washington, Santiago del Cile, Quito e Buenos Aires.
In quest’ultima città, che sempre ricordava con ardore giovanile, aveva conosciuto tante personalità di cultura e letto per la prima volta Jorge Luis Borges, che lo affascinò. Laureatosi in legge in Messico, e poi in economia a Ginevra, il suo connazionale Octavio Paz, premio Nobel per la letteratura, lo aveva inizialmente incoraggiato, ma poi la distanza tra loro era cresciuta al punto che non si parlavano più. Paz era infatti diventato critico nei confronti della sinistra, mentre Fuentes non rinunciò mai alle sue posizione politiche. In un incontro di scrittori in Messico, Paz accusò addirittura García Márquez e Fuentes di apologia dei tiranni.
Il cronista letterario cileno Luis Harss sosteneva invece che Fuentes imponeva rispetto perché era capace di parlare di tutto con autorità. In particolare di un problema che torna sempre nei suoi romanzi e saggi: la crescita della popolazione di Città del Messico, una delle più grandi del mondo, terribile e assurda pur nella sua innegabile bellezza e cultura.
I romanzi più famosi di Fuentes sono La regione più trasparente e La morte di Artemio Cruz. Importanti anche i suoi saggi. Studiare il romanzo era per Fuentes una passione: «Cosa fa il romanzo?», si domandava. E rispondeva: «Aggiunge realtà alla realtà». Per lui, per esempio, dopo l’ingegnoso Don Chisciotte, la Spagna era più reale di prima. Poco importava la sconosciuta vita di Miguel de Cervantes, il suo autore, il più reale era proprio Don Chisciotte.
Ma c’è un piccolo libro di Carlos Fuentes, una nouvelle intitolata Aura, che consiglierei per cominciare a leggere questo scrittore. La storia è quella di un modesto giovane professore di Storia il quale incontra una strana signora anziana, che gli vuole far conoscere gli scritti del suo scomparso marito, un generale dell’epoca dell’imperatore Massimiliano, poi finito in esilio a Parigi. La donna sembra avere un’infinita vecchiaia e sta sempre nella sua stanza buia. Mentre la frequenta, il giovane conosce la sua bella nipote, Aura, che non fa mai rumore, sempre silenziosa e timida. Si innamora e vorrebbe fuggire con lei: a cosa serve ascoltare questa anziana un po’ matta e ordinare quella carte gialle? La vita è fuori… ma non tutto è come appare. La vita, nella decadente casa un tempo signorile del centro città, è più fantastica che reale.
Nonostante le fantasie romantiche della storia, in Aura si sente un Carlos Fuentes ispirato e libero da ogni condizionamento ideologico. Invece nei suoi grandi romanzi, pur significativi ed importanti, sotto lo scrittore si avverte l’intellettuale di parte, impegnato quasi più nella politica che nella letteratura. Tutta un’epoca.