Fake news, Verdelli: la verità vinca sui like
A fine maggio si svolgeranno le elezioni europee e purtroppo, come già successo in precedenti tornate elettorali, già stanno circolando le fake news. Notizie che, secondo gli studiosi dei media statunitensi, sono false ma verosimili, create volutamente per sembrare reali, in modo da ingannare e manipolare le persone distorcendo la realtà e spingendole a comportamenti che qualcuno ha deciso per loro. Un fenomeno – spiega Carlo Verdelli, giornalista e ufficiale al merito della Repubblica, già direttore editoriale per l’offerta informativa della Rai e nuovo direttore di Repubblica al posto di Mario Calabresi – molto più complesso e pericoloso delle classiche “bufale”, le notizie palesemente false.
Verdelli, qual è l’impatto delle fake news sulla società?
In una società ben strutturata per distinguere il falso dal verosimile e dal vero, l’impatto è piccolo. In una civiltà, invece, dove in qualche modo l’irrazionale ha preso il posto della ragione, in cui l’emozione è dominante, più una notizia “colpisce emozionalmente” più ha valore. Non importa che sia vera, verosimile o falsa. Le fake news hanno un forte impatto perché stiamo vivendo un passaggio di civiltà: da quella della ragione alla civiltà basata sulle emozioni. Fino ai primi anni del 2000 la stampa e la televisione determinavano il modo in cui si percepiva il proprio tempo. Dal 2006-2007 è avvenuto un passaggio apparentemente repentino, ma in realtà preparato negli anni precedenti, che ci ha portati dalla galassia Gutenberg a quella che definisco la “galassia Zuckerberg”, con 7 miliardi di abitanti e 8 miliardi di carte sim.
Nel mondo ci sono più schede telefoniche che abitanti e noi siamo perennemente connessi con gli smartphone, che solo accidentalmente servono per comunicare, ma hanno un sacco di altre funzioni, comprese quelle di accedere ai social network, di fare foto, di partecipare alle chat. Questo passaggio ha cambiato le abitudini profonde e il modo di consumare il tempo delle persone.
I mass media sono destinati a soccombere?
Anzi, hanno la grande opportunità di fare meglio il proprio mestiere. Quello giornalistico è un lavoro che costa fatica e che presenta, tra le altre cose, l’obbligo della verifica delle notizie. Molte fake news possono essere “disinnescate” da un controllo fattuale di chi fa informazione. Una credibilità che può essere certificata con un “bollino”, come le bandiere blu per il mare, che dica ai lettori: noi pubblichiamo soltanto fatti verificati e lavoriamo per smascherare e denunciare cose non verificate. È un’opera collettiva e più mezzi di informazioni parteciperanno, più diventerà un argine al dilagare di verità verosimili, quindi non verità, e più il giornalismo acquisterà valore. È un nuovo fronte, sul quale il giornalismo tradizionale non sembra prendere ancora le contromisure necessarie.
In primavera ci saranno le europee: come difendersi dai tentativi di manipolazione?
In occasione delle elezioni di medio termine, il New York Times ha rivolto un appello ai suoi lettori per cercare di disinnescare le informazioni costruite deliberatamente per confondere, ingannare e quindi influenzare in modo scorretto i votanti negli Stati Uniti. «Da soli – hanno scritto – non ce la facciamo, dunque, cari lettori, segnalateci ogni caso di cui veniate a conoscenza: sarà nostro dovere verificare l’attendibilità della notizia, o non-notizia, che scoverete». Dal punto di vista giornalistico questo è un grandissimo passo, perché rende chi fa informazione e il lettore parte di una comunità circolare dove uno serve all’altro.
Un consiglio ai lettori, come rapportarsi agli scoop?
Ci possono essere falsi scoop o piccole o grandi dimenticanze. L’unico consiglio che darei a un amico è questo: se trovi una notizia che ti sembra esagerata, vai a verificarla attraverso altre fonti. Alla base delle fake news c’è un pressapochismo informativo, ma il cittadino ha diritto a una informazione pura, per cui tutto andrebbe verificato e il lettore (l’internauta, il radioascoltatore…) dovrebbe avere gli strumenti per farsi un’idea propria a fronte di fatti verificati. Questo invece mi sembra che non stia accadendo perché siamo in una società in cui le emozioni, i like, i “mi piace”, vincono sul faticoso lavoro di approfondimento, della verifica. Documentare richiede tempo e fatica, “sparare” una notizia non richiede fatica e ottiene molto consenso. Bisogna svelare i meccanismi, le correnti torbide che scorrono sotto il mondo dell’informazione e questo lavoro va fatto principalmente da chi fa questo mestiere. È complicato, ma è una battaglia di civiltà.