Carlo Magno, paternità europea

Non l’unico, ma sicuramente tra i maggiori promotori dell’Europa unita. In tempo di crisi e default, le parole dell’imperatore altomedievale a Baugulfo sull’importanza di un impegno culturale
Carlo Magno

Carlo Magno Rex pater Europae. Il titolo prestigioso, e ripreso più volte anche nei secoli successivi da Federico Barbarossa a Luigi XIV a Napoleone, era arrivato grazie all’attestazione di un anonimo poeta che aveva riportato l’incontro avvenuto nella città di Paterborn nel 799 con papa Leone III. L’ignaro scrittore non sapeva dell'importanza di tale titolo, o forse non è dato conoscere quanto ne sapesse, e diede così il via ad una tradizione che non avrebbe più abbandonato la penna di molti scrittori dell’Occidente.Il Sacro Romano Impero, infatti, secondo molti storici ricordava l'assetto europeo attuale: era continentale e con il centro nella valle del Reno.
 
Ad oggi anche gli studi sono più o meno concordi con la definizione di Padre dell’Europa per Carlo Magno che si trovò ad essere testa e cuore, braccio e anima di questa nuova identità politica e culturale, come testimoniano Le lettere  a lui attribuite. Ventiquattro missive sparse lungo l’arco cronologico del suo regno (giungono fino all’813) e che guarda caso, o per ironia della sorte, si trovano custodite in varie biblioteche d’Europa. Non importa se siano state scritte , o no, dal sovrano: comunque il loro valore è induscusso perchè legate concettualmente a lui.

Tra queste lettere, che riproponiamo nella versione curata da Dag Tessore per Città Nuova, c'è anche il documento più celebre della politica culturale di Carlo Magno. Indirizzata all’abate di Fulda Baugulfo e risalente agli anni 780-800, è una missiva in cui si invitano i monaci di quello che sarà il cuore pulsante della rinascita carolingia  – Fulda -, a coltivare gli studi letterari.

«Carlo, per grazia di Dio re dei Franchi e dei Longobardi, patrizio dei Romani abate Baugulfo e a tutta la sua comunità, così come ai nostri fedeli a te affidati, a nome dell’onnipotente Dio, salute. Sappia la vostra devozione, a Dio gradita, che, insieme con i nostri fedeli, abbiamo ritenuto opportuno che siano osservate le seguenti disposizioni.

«I vescovadi e i monasteri che, per volere di Dio, sono stati affidati alla nostra guida, oltre all’osservanza della regola e alla pratica della santa religione, devono preoccuparsi che sia insegnato, a coloro che per dono di Dio sono in grado di apprendere, e secondo la capacità di ciascuno, l’esercizio delle lettere; affinché, come la regola dà ordine e ornamento ai costumi, altrettanto l’impegno di insegnare e di apprendere le lettere faccia per la lingua; e coloro che vogliono piacere a Dio vivendo rettamente, non trascurino di piacergli anche rettamente parlando. Poiché sta scritto: «Dalle tue parole sarai giustificato, dalle tue parole sarai condannato». Benché infatti sia meglio agire bene che sapere, è pur vero che il sapere precede l’agire. Ciascuno pertanto deve imparare ciò che vuoi mettere in pratica; così che tanto più pienamente l’anima comprenda ciò che deve fare, quanto più correttamente la lingua si sarà mossa alle lodi del Signore. Poiché, se è vero che tutti gli uomini devono evitare gli errori, quanto più debbono guardarsene, in proporzione alle loro possibilità, coloro che proprio a questo sono stati chiamati, a servire in modo speciale la verità!

«In questi anni da molti monasteri ci sono state indirizzate a più riprese lettere per comunicarci che coloro che li abitano fanno a gara nell’elevare sante e devote preghiere per noi: ebbene, in più d’uno di questi scritti noi abbiamo trovato espressioni incolte: e questo perché ciò che una pia devozione rettamente dettava all’animo, il linguaggio, non esercitato, non era in grado di esprimere senza errori, a causa dell’abbandono in cui sono stati lasciati gli studi. Di qui l’origine del nostro timore che, insieme con l’abilità nello scrivere, vada diminuendo la capacità di intelligenza delle Sacre Scritture. Sappiamo tutti benissimo, che, per quanto pericolosi possano essere gli errori di parole, molto più pericolosi sono gli errori di senso. Perciò vi esortiamo non solo a non trascurare gli studi, ma al contrario a fare a gara nel coltivarli, s’intende con umiltà e con l’intento di piacere a Dio, in modo che possiate penetrare più facilmente e rettamente i misteri delle Sacre Scritture.

«E poiché nelle sacre pagine si trovano metafore, tropi ed altre figure, è chiaro ad ognuno che qualunque lettore potrà tanto più rapidamente coglierne il senso spirituale, quanto meglio sarà stato precedentemente istruito dall’insegnamento delle lettere.

«A questo compito siano scelti uomini che uniscano alla volontà e capacità di imparare il desiderio di istruire gli altri. E ciò sia fatto con l’intenzione pia che ispira questi nostri ordini. Noi infatti vi vogliamo, come si conviene a soldati della Chiesa, devoti interiormente ed esteriormente dotti; desideriamo che con la vita onesta diate prova della santità, con il linguaggio corretto della vostra istruzione. In tal modo chiunque venga a voi per amor di Dio, attratto dalla santità e dall’eccellenza della vostra condotta di vita, potrà essere al tempo stesso edificato dalla vostra vita e istruito dalla sapienza di cui darete prova nel canto e nella lettura, e se ne ritornerà lieto, rendendo grazie al Signore onnipotente.

«Procura di inviare copia di questa lettera a tutti i vescovi tuoi suffraganei e a tutti i monasteri, se vuoi avere grazia presso di noi».
 

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