Carismi e gerarchia
La Lettera Iuvenescit Ecclesia è senz’altro un documento importante e attuale.
Fondandosi su di una ricca ricognizione biblica, sull’ecclesiologia del Vaticano II, sulla riflessione del magistero pontificio postconciliare circa le nuove realtà ecclesiali, il documento approda a una lucida delineazione del quadro teologico di riferimento del rapporto, nella vita e nella missione della Chiesa, dei “doni gerarchici” e dei “doni carismatici”: in quanto essi hanno la medesima origine (lo Spirito di Cristo) e il medesimo fine (la crescita e la comunicazione universale del dono di Dio all’umanità).
La cosa di peso è che, nel fare ciò, il documento registra e riconosce un’acquisizione di peculiare momento nella maturazione dell’autocoscienza ecclesiale cattolica: il fatto che l’intera vita e missione della Chiesa è animata e promossa dall’opera dello Spirito Santo che rende presente a ogni tempo e a ogni luogo l’evento di Gesù attraverso la sinergia, appunto, dei «doni gerarchici» che si esprimono – in virtù del sacramento dell’ordine – nel ministero dei pastori, e dei «doni carismatici» che sono disseminati con larghezza in tutto il Popolo di Dio dallo Spirito del Signore.
Tutto ciò – il documento non manca di richiamarlo – segna sin dal principio l’esperienza della Chiesa, ma «solo in epoca recente si è sviluppata una sistematica riflessione sui carismi» (n. 9). Così che il Vaticano II, «mediante la distinzione tra i doni gerarchici e quelli carismatici, sottolinea la loro differenza nell’unità» (n. 9) nell’edificazione della Chiesa e nel suo servizio alla crescita del Regno di Dio. Riprendendo un’affermazione di Giovanni Paolo II, la Lettera giunge a una conclusione che è al cuore dell’insegnamento che propone: «In definitiva, è possibile riconoscere una convergenza del recente Magistero ecclesiale sulla coessenzialità tra doni gerarchici e doni carismatici. Una loro contrapposizione, come anche una loro giustapposizione, sarebbe sintomo di una erronea o insufficiente comprensione dell’azione dello Spirito Santo nella vita e nella missione della Chiesa» (n. 10).
In un magistrale intervento del 1998 su questo tema, l’allora Cardinal Joseph Ratzinger sottolineava: «Esiste la permanente forma basilare della vita ecclesiale in cui si esprime la continuità degli ordinamenti storici della Chiesa. E si hanno sempre nuove irruzioni dello Spirito Santo, che rendono sempre viva e nuova la struttura della Chiesa». Si tratta, continuava, di quelle «ondate di movimenti, che rivalorizzano di continuo l’aspetto universalistico della missione apostolica e la radicalità del Vangelo, e proprio per questo servono ad assicurare vitalità e verità spirituali alle Chiese locali».
Don Divo Barsotti, il mistico fiorentino di “spirito profetico dotato” (per dirla col suo conterraneo Dante Alighieri), invocava anni or sono dallo Spirito Santo il sorgere nella Chiesa di un movimento religioso di inusitata «potenza d’amore», in grado di contribuire decisamente a ritrovare risposte di autentica e affascinante pertinenza evangelica e di autentico e ispirante respiro spirituale e culturale alle grandi sfide dell’oggi. Esso – diceva – «deve sorgere dai laici. Benedetto e Francesco erano laici. Il compito della gerarchia, cui spetta legiferare, è di un controllo perché l’assistenza divina, indubbia, preserva la Chiesa dal cadere nell’errore, ma il movimento non è realizzato dalla gerarchia». «Un unico movimento – chiosava – vi è stato nella gerarchia: la riforma all’interno operata da Gregorio VII».
Papa Ratzinger che ha voluto riprendere il nome di Benedetto da Norcia, e Papa Bergoglio, un figlio spirituale di Sant’Ignazio, che – primo Papa nella storia – ha assunto il nome del Poverello d’Assisi, son forse segni di un’inedita e promettente presa di coscienza – sin dai vertici della Chiesa – della reciprocità tra doni gerarchici e doni carismatici. Ciò che il presente documento auspica per l’intero Popolo di Dio.