Carceri, l’impegno per la riabilitazione
Circa seimila detenuti coinvolti, una dozzina i decessi e diversi i feriti. Una settantina di detenuti evasi, di cui sedici ancora latitanti. Quaranta invece i feriti tra gli agenti di polizia penitenziaria. Milioni di euro di danni. È il bilancio provvisorio della rivolta che ha coinvolto una trentina di case circondariali sparse su tutto il territorio italiano, non del tutto rientrata. Chieste le dimissioni del capo dell’amministrazione penitenziaria e dello stesso Guardasigilli.
La protesta è divampata in seguito alle misure cautelari approntate per limitare la diffusione del coronavirus, tra cui sospensione di permessi premio, semilibertà e colloqui familiari. Rabbia per le limitazioni e paura nei confronti del contagio sono alcune delle cause che hanno scatenato le violente proteste, motivazioni che si aggiungono alla già precaria situazione all’interno delle case circondariali. Oltre all’evasione di Foggia, con ricerche ancora in corso, si sono registrati quattro decessi a Rieti e nove a Modena, la maggior parte dei quali per assunzione di farmaci, ingeriti dopo aver devastato le infermerie.
Caterina, nome di fantasia, è un tecnico di riabilitazione psichiatrica, e ha lavorato per anni nell’equipe del Servizio per le Dipendenze patologiche intramurario con alcuni dei detenuti che hanno perso la vita nel carcere di Modena, per gran parte attualmente inagibile. Il suo compito è quello di assistere i detenuti nel percorso di riabilitazione durante la detenzione e valutare la presenza di condizioni per beneficiare eventualmente di misure alternative.
Qual è il tuo compito in carcere?
Dobbiamo lavorare con i detenuti, spesso sia spacciatori che utilizzatori di sostanze, per capire dove hanno sbagliato e individuare spiragli di riabilitazione. La parte più difficile è rendersi conto se c’è reale volontà di maturazione o se il loro è un comportamento strumentale per ottenere benefici.
Riuscite a ottenere risultati?
Non c’è mai una verità assoluta. Spesso ci chiediamo se tutto il nostro lavoro sia inutile o se c’è speranza. Nella maggior parte dei casi finisce male. Alcuni riescono, e sono quei pochi a darci la forza di superare tutti i fallimenti.
Tu dove trovi la forza?
Devi crederci più di loro. Io metto tanto di cristiano in quello che faccio. In situazioni come queste non posso non chiedere la forza a Dio: di non cadere nel pregiudizio, di non demotivare me e chi come me lavora ogni giorno in balìa di risultati incerti sul proprio operato. Prego per me, ma anche per loro, perché possano trovare pace e perdono da qualche parte.
Hai dei momenti di difficoltà?
Ci mettiamo spesso in discussione. Bisogna trovare la forza di superare chi ci dice che stiamo perdendo tempo, chi ci ignora, e chi crede che i detenuti siano tutti uguali e non abbiano il diritto di riabilitarsi. So che sono in pochi a farlo davvero, ma è per loro che non c’è da arrendersi.
L’elemento religioso è presente in carcere?
Molto, e molti di loro trovano beneficio nella preghiera e nei momenti di culto durante la carcerazione. Vengono imam e sacerdoti cattolici, e sono in molti i detenuti che entrano in contatto con gli evangelici. Ci sono molti battesimi in carcere, ma non sempre questo ha dei risvolti positivi. Molti trovano conforto nel passaggio per il quale nel momento in cui ti battezzi il tuo peccato/reato è cancellato. Questo in parte è un problema, perché si attiva un processo di de-responsabilizzazione per il quale il detenuto non affronta un percorso reale di consapevolezza. Si sentono liberi e puri e sentono di poter accedere a percorsi esterni o di ottenere maggiore fiducia da parte di chi lavora con loro per il semplice fatto che siano stati battezzati, ma questo non è sufficiente.
Com’è la situazione intorno a voi?
La quotidianità e i problemi che ci si trova ad affrontare appartengono ad un mondo che chi non ha sperimentato difficilmente riesce ad immaginare. Il sovraffollamento e le condizioni di precarietà in cui si trovano a volte gli istituti sono problemi di lunga data e non sono i soli.
Cosa pensi dei disordini di questi giorni?
Sono molto provata dalle notizie ricevute, conoscevo molti di loro, e con alcuni ho avuto un rapporto professionale per molto tempo.
Perdono e pentimento fanno parte del percorso di riabilitazione?
È difficile definirlo, ma credo che siano componenti importanti che si intersecano con il percorso di riabilitazione solo se realmente autentiche.
Metti mai in discussione il tuo essere cattolica qui dentro?
Il carcere è un luogo dove si incontrano persone di ogni tipo, con ogni tipo di reato. Non è raro incorrere in momenti di rabbia o disprezzo nel sentire storie nelle quali c’è ben poca umanità. Dover poi lavorare accantonando il giudizio è la cosa più difficile e mette a dura prova. Allo stesso tempo però mi ha permesso di riaccendere ogni volta una forza interna che ogni giorno non mi abbandona e mi aiuta ad affrontare situazioni difficili con gentilezza e cautela senza lasciarmi logorare dal cinismo e dal pregiudizio.