Carcere, diritti e dignità
È possibile una narrazione altra delle carceri, dei problemi che riguardano i detenuti e di un mondo prevalentemente sconosciuto? Sì, ad esempio partendo da un racconto in cui si esca dal noi e si affronti contemporaneamente l'altro, un discorso in cui ci sia la disponibilità ad affacciarsi a una realtà che non appartiene alla maggior parte di noi e che ci faccia incrociare sguardi e ascoltare le vite di chi ha avuto un percorso diverso. Il tutto senza pregiudizi e senza enfatizzazioni di sorta, perché diritti, come dignità e rispetto della persona, attengono a tutti e non solo ad alcune categorie.
E proprio della tutela dei diritti dei detenuti, del sistema penale e penitenziario italiano ed europeo e dell'incidenza dei migranti si è discusso in una due giorni all'Università Roma Tre.
Docenti universitari, esperti di diritto e rappresentanti di associazioni per la tutela dei diritti dei detenuti e di migranti si sono confrontati nel convegno “Carceri, immigrazione, diritti umani nello spazio costituzionale europeo”, organizzato dall'Università Roma Tre, dalle associazioni Antigone e Progetti diritti, con il sostegno di Open society foundation.
A partire ancora una volta dal messaggio alle Camere del presidente Napolitano e dalle parole di papa Francesco si è cercato di capire se e quale tipo di tutela esiste per i detenuti e se e in che misura la presenza di immigrati incide sul sovraffollamento.
I numeri
Per comprendere l'entità del fenomeno, vengono in soccorso i numeri: al 30 settembre di quest'anno i detenuti nel nostro Paese sono quasi 65mila, esattamente 64.758, con un affollamento penitenziario del 136 per cento secondo le stime del Dap, Dipartimento di amministrazione penitenziaria, e del 175 per cento secondo Antigone. Differenza che nulla toglie alla drammaticità della situazione. A esserne più colpite, secondo le statistiche del Dap, sono le regioni dell'Emilia Romagna e Puglia (160 per cento), seguite da Veneto (158 per cento), Lazio (149 per cento), Lombardia (148 per cento) e Campania (144 per cento). Altri numeri snocciolati nel corso del convegno identificano meglio la popolazione carceraria composta per il 35 per cento da immigrati (da vedere poi sulla base di quali reati, se per clandestinità o reati al patrimonio o alla persona), senza considerare il 40 per cento di presenze di imputati o condannati per violazione della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. E ben un 19 per cento è in attesa di primo giudizio.
«E in Europa?» – ci si è chiesto. Non stanno meglio paesi come la Grecia o la Francia, dove il tasso di sovraffollamento è rispettivamente del 136,5 e del 113,2 per cento.
Questo però non può distogliere dal fatto che esistono leggi nazionali e disposizioni europee che impongono un equo e rispettoso trattamento dei detenuti.
E qui sono emersi gli aspetti più clamorosi, sottaciuti e anche ignorati che riguardano il nostro Paese. Perché se è vero che l'Unione europea si è dotata di organismi quali la Corte dei diritti dell'uomo e la carta di Nizza, è soprattutto vero che l'Italia possiede una delle Carte costituzionali, ancora oggi, più all'avanguardia ma anche tra le più disattese. Secondo l'articolo 27 i detenuti non possono essere sottoposti a torture, violenze fisiche e psicologiche e trattamenti disumani, inoltre la privazione della libertà deve avere come scopo finale la rieducazione.
Stupisce quindi, come hanno fatto rilevare docenti di diritto e presidenti di associazioni per i diritti umani, come alla fine l'Italia si “accontenti” di essere multata e condannata dall'Europa ancorché rispettare le proprie normative interne.
Esplicativo però di quanto accade e dell'incidenza delle norme europee anche nel nostro Paese è stato l'intervento di Mauro Palma, membro del Consiglio d'Europa: «La tendenza a un'Europa più sicura ha portato a una graduale e drastica restrizione dei diritti e soprattutto all’individuazione di un nemico e di un aggressore. E a queste nuove individuazioni chiede di dare risposta attraverso il sistema penale. L'Europa – ha continuato Palma – deve trovare un ripensamento alle logiche e alle politiche migratorie». Comportamento europeo definito antistorico da Gaetano Azzariti, docente dell'Università Roma Tre: «È storicamente improponibile un libero circolare di merci e finanza senza considerare invece imprescindibile quello delle persone. Non serve solo un'idea astratta e retorica della dignità».
Intervento che riporta subito a un tema importante, quello della relazione tra presenze di immigrati e sovraffollamento carceri. Gli interlocutori hanno evidenziato come il reato di clandestinità introdotto dalla legge Bossi-Fini riguarda aprioristicamente uno status personale in cui non c'è alcuna violazione della proprietà o della persona. Colpisce persone che scappano, sempre più numerose, da guerre, genocidi, e da condizioni di povertà estrema e non differenzia nemmeno i richiedenti asilo, che al momento del loro arrivo sono essi stessi degli illegali.
Le storie
Esemplificatrici, ancora una volta, le storie raccontate. «Un mio cliente turco, ma di origine curda è riuscito tra mille peripezie ad arrivare in Italia, a Trento. Qui ha fatto richiesta di asilo e dopo l'iter previsto è riuscito a ottenerlo» – ha raccontato Antonio Marchesi, avvocato e presidente di Amnesty international Italia –. «Quando un suo cugino, anche lui oppositore al governo, gli ha chiesto come arrivare in Italia per avere lo status di rifugiato, il mio cliente gli ha suggerito di seguire il suo viaggio, pagando alcune persone. La Procura ha intercettato quelle conversazioni e il mio cliente è stato condannato a 11 mesi di carcere per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina». Ma ci sono storie anche più drammatiche. «Uno dei Paesi da cui si fugge più spesso è l'Eritrea. Da qui si scappa arrivando in Sudan, poi in Etiopia, dopo in Libia e quindi per mare si arriva, se si è fortunati, a Lampedusa. Molti di quelli regolari che sono in Italia rientrano nel loro paese e si sposano. Successivamente rientrano in Italia solo gli sposi regolari che fanno richiesta di ricongiungimento» – continua ancora Marchesi –. «È qui però che il meccanismo si inceppa, perché l'ambasciata italiana di Addis Abeba rigetta il visto. Così chi aspettava il visto regolarmente decide di seguire la via del Sudan. Lo ha fatto un giovane, uno di quelli morti nell'ultimo naufragio a Lampedusa. Non ce l'ha fatta. Era uno di quelli che in Italia sarebbe potuto entrare legalmente, col visto che gli toccava».
E allora, quali le soluzioni a una situazione che a detta di tutti ha perso da tempo i caratteri dell'urgenza e dell'emergenza, sia per le condizioni detentive che per i flussi migratori? Amnistia e indulto, sì certo ma a condizione che si considerino per quel che sono, misure straordinarie e tampone. Quello che attende ancora il nostro Paese è una seria riforma del sistema penale che smetta di essere securitario e repressivo, che depenalizzi reati minori, che trovi misure alternative alla detenzione, che ponga al centro di tutto la persona con i suoi diritti e che si pensi a un suo reintegro nella società. E che soprattutto si dia esecuzione, sempre attraverso le leggi, ai principi della nostra Costituzione.
«Noi ce la metteremo tutta, pur non essendo uno dei momenti più belli visto che non abbiamo risorse» – ha detto il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, nel corso del suo intervento –. «Occorre una sfida, e i cambiamenti sono possibili solo se ci mettiamo tutti assieme. A maggio non avremo risolto tutto, non ci riusciremmo nemmeno se fossimo Maga Magò – ha continuato il ministro –, ma di sicuro ci sarà un'inversione di tendenza. Le risposte che ci attendono sono su diversi fronti; è una bella sfida e abbiamo deciso di dare delle risposte».
A chi le chiedeva, lasciando il convegno, se fosse in previsione un nuovo piano carceri e una riforma, il ministro non ha detto nulla, scortata dalle guardie del corpo.
Come sempre a fare la differenza nell'opinione pubblica, hanno voluto sottolineare i relatori, è la conoscenza: poter entrare in un penitenziario e capire cosa significhi trascorrere lì le proprie giornate, colpevoli o meno di reati, e che anche dietro le sbarre, spesso quello che si chiede è dignità.
In occasione del convegno è stato attivato il Master di II livello in “Diritto penitenziario e Costituzione”, grazie alla convenzione tra il Dipartimento di amministrazione penitenziaria e l'ateneo di Roma Tre.