Caravaggio: la normalità dipinta da un santo
Si tratta di un progetto di narrative experience che nasce dall’oggettiva impossibilità di mostrare dal vivo capolavori inamovibili ed indispensabili che al Museo della Permanente divengono fruibili in proiezioni di grande formato.
La religione di Caravaggio è quella dell’humilitas occidit superbiam di san Filippo Neri, di Carlo e Federico Borromeo, protagonisti della Chiesa milanese e della Controriforma.
Caravaggio, osserva Giulio Argan, dipinge la luce su preparazioni scure, oltre le regole dell’epoca, pur nella musicalità cromatica che risale alla scuola del maestro Simone Peterzano, alunno di Tiziano.
La sua vita disperata e violenta, è domata solo dall’incontro con l’autentico, il “duro vero” di Pasolini che rende il profondo silenzio della pellicola Vangelo Secondo Matteo. Gli angeli di Caravaggio ricordano i ragazzi di vita di Pasolini. «Caravaggio scende a Napoli – scrive Gabriella Sica -, si ferma a lungo dove sono accolti poveri e infermi nel cuore di Spaccanapoli». Quei poeti e pittori che sono andati contro il vuoto e la maniera hanno percorso la strada che dalla maniera conduce all’umanità.
Per Vittorio Sgarbi è questo pittore della realtà ad aver inventato la tecnica fotografica di Henri Cartier-Bresson in qualità di maestro del carpe diem, teorico dell’istante decisivo, pioniere del fotogiornalismo.
Caravaggio esclude la “ricerca del bello” del contemporaneo Annibale Carraci e punta al vero. Lo vive. Si contrappone al manierismo romano con un ethos aspro che rifiuta il mondo poetico del mondo classico .
Caravaggio riprende il mondo interiore del Michelangelo dei Sonetti, nel rifiuto della forma e del vuoto di un manierismo tutto stile, senza ethos.
La fresca corrente del colorismo veneto che Argan sottolinea in Caravaggio nei colori «dolci e schietti», risente della cultura lombardo veneta del Lotto, del Savoldo, del Moretto.
Il Riposo in Egitto della Galleria Doria Pamphili di Roma ha ispirato Pasolini nella scelta degli attori che potessero incarnare quel silenzio di questo san Giuseppe affaticato per il viaggio, a fianco dell’asino, a piedi nudi e con le unghie nere, mentre ascolta dall’angelo il Cantico dei Cantici inneggiare al “kalos” della Vergine nel suo essere “mater”. È una battaglia sociale questa di Pasolini e di Caravaggio. L’umile, l’humus, rivela il divino. La pittura come poesia può essere intesa solo nel senso di Tiziano e Giorgione, lirismo interiore.
In questa messa a fuoco alla maniera di Henri Cartier-Bresson la realtà è vita con i suoi contrasti netti di luci e di ombre.
Giovanni Pietro Bellori accusa Caravaggio di un realismo troppo crudo. Nelle Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni del 1672
Bellori dice di apprezzare al contrario il suo «togliere ogni belletto e vanità al colore, rinvigorire le tinte, restituendo ad esse il sangue e l’incarnazione». Nella Vocazione di S. Matteo della Contarelli di Roma, Caravaggio dipinge la luce, la chiamata personale di Cristo, come una lama di luce rivolta a Matteo, nel peccato. Caravaggio descrive nella Vocazione di S. Matteo l’istante decisivo di quando la grazia investe. Il Dio di Caravaggio è qui in terra, presente nei fatti della nostra Galilea o del nostro quotidiano. I testimoni non solo sono gli angeli ma i poveri, i dolenti, l’oste della Cena di Emmaus.
Il Dio di Caravaggio è nel volto degli uomini semplici, bari, zingare, bevitori, musicisti che ha incontrato per le strade di Milano e di Napoli, nei loro volti, piuttosto che solo nel cielo.
Per ritrarre la Morte della Vergine, amato da Rubens, da Carlo I d’Inghilterra e dal Re Sole, esposto a Versailles e oggi al Louvre , Caravaggio, tra il dolore devoto di poveri e umili, usa come modello per la Madonna, il cadavere di una donna annegata nel Tevere. In questa resa scientifica dei sentimenti e delle emozioni, Caravaggio ricorda la rappresentazione di Leonardo della Vergine con san Anna del Louvre.
Caravaggio rapisce al volo le espressioni, i gesti, le situazioni, ma ne ha curato con precisione la composizione nella fase dello studio e della preparazione.
L’arte di Caravaggio, rimandi sofferti alla sua esperienza autobiografica, rivela nella fitta rete di autoritratti nascosti, il rischio allusivo della sua stessa decapitazione. Persino la Salomè del ritratto del 1610, del Palacio Real di Madrid, ha un volo sofferto? Tutto con Caravaggio ritrova l ‘umano? È un Santo?
Il pianto del Cristo del Vangelo Secondo Matteo di Pasolini è il pianto della Maddalena Penitente di Caravaggio del 1595, l’ Anna Bianchini, prostituta senese, l’Annuccia/Maria del Riposo durante la fuga in Egitto, Madonna della Tenerezza, l’Anna Bianchini annegata che è attorniata dagli apostoli nella Morte della Vergine. Caravaggio è il santo di un’umanità degenerata senza colpa, dei bruti costretti a compiti odiosi, miseri, da poveri di spirito. Nella Crocifissione di San Pietro, un senso di disarmata dolente umanità collega il vecchio Santo inchiodato con i suoi carnefici, anch’essi santi come sanTito. Ora ritratti nella santità, ora ritratti nella miseria morale sono gli stessi uomini e donne che Caravaggio ha incontrato come Pasolini, per strada nel silenzio assoluto dove parla Dio. La normalità dipinta da un santo.