Il Cara di Mineo chiude tra le polemiche

Centinaia di lavoratori a spasso, mentre Matteo Salvini, da poco più di un anno ministro degli Interni, ne ha fatto il cavallo di battaglia della sua propaganda. Per gli immigrati non è mai stato una casa di accoglienza

Aveva promesso di chiudere quel centro nel cuore dell’assolata Sicilia, nell’entroterra tra Catania e Caltagirone, dove erano stati assiepati fino a 4.000 migranti. Qualche giorno fa, durante una trasmissione di Porta a Porta, l’annuncio. Il Cara di Mineo chiuderà a luglio. In questo momento ci sono solo 152 persone e presto anche costoro lasceranno la struttura.

Una notizia salutata a gran voce da coloro che, in questi mesi, in numero crescente, hanno fatto crescere in Italia un sentimento di forte avversità verso i migranti. Facile individuare come bersaglio quella megastruttura sorta in Sicilia, in quello che prima si chiamava “Residence degli Aranci”. Era un grande villaggio, completo di tutto, destinato ad accogliere i militari statunitensi di stanza in Sicilia (a Sigonella) e le loro famiglie. Era stato realizzato in una zona piuttosto isolata, relativamente distante dai comuni di Mineo e Grammichele. Poi i militari, a poco a poco, lasciarono l’isola e quel residence che era stato costruito solo per loro.

Nel 2011 l’idea di un nuovo utilizzo: nel marzo 2011 viene aperto il Cara, per volontà dell’allora premier Silvio Berlusconi e del ministro degli Interni del tempo, Roberto Maroni, anch’egli leghista. Nel 2015, l’inchiesta collegata a Mafia Capitale, coinvolge anche Mineo. Il grande business dei migranti coinvolge anche il “ramo siciliano”, con lo scandalo del mega appalto per la gestione, per quasi 98 milioni di euro, con le parentopoli nelle assunzioni ed un grande intreccio che coinvolge anche il mondo politico e gli amministratori locali. Tra i nomi spicca quello dell’ex sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione.

Il Cara di Mineo è “appetitoso” anche per i posti di lavoro che può offrire e le assunzioni, in una terra affamata di lavoro, sono manna dal cielo. Alcuni partiti, forse non a caso, vedono balzare in avanti il numero di consensi. Nel febbraio 2015, l’Autorità anticorruzione, presieduta dal magistrato Raffaele Cantone, individua alcune criticità nel bando (il classico “bando su misura”) e ne chiede il commissariamento. Oggi si va verso la chiusura, si vivono gli ultimi momenti. Quel villaggio, forse, rimarrà inutilizzato. Almeno per ora.

Nel Cara hanno lavorato circa 400 persone. Quattrocento posti di lavoro in una terra povera, affamata di lavoro. Nel cuore della piana di Catania, dove i nobili aranceti oggi ci sono ancora ma non garantiscono reddito. Le bionde arance siciliane si vendono per pochi centesimi.

Monta la protesta di chi è già stato licenziato e di chi lascerà definitivamente il lavoro tra pochi giorni. Si succedono le manifestazioni di protesta, gli appelli dei sindaci, gli incontri in Prefettura. Interviene anche il presidente della Regione, Nello Musumeci: «La chiusura del Cara di Mineo – afferma il governatore – è l’inesorabile epilogo di una grande illusione, in una terra affamata di lavoro. Ma il governo nazionale deve adesso predisporre misure compensative a tutela di un’area fortemente degradata, come quella del Calatino, che nel Cara aveva trovato lo sfogo per centinaia di lavoratori, con una ricaduta anche per l’indotto. Non vorremmo che al danno si aggiungesse la beffa. La Regione è pronta a fare la propria parte realizzando interventi infrastrutturali, a servizio delle aree a sud del centro abitato, qualora lì dovessero insediarsi aziende che possano assorbire una parte di lavoratori espulsi dopo la chiusura del Centro».

Ma nell’immediato sembrano esserci solo promesse, ancora nulla di concreto. Tutto rinviato a settembre, per ulteriori confronti con le organizzazioni di categoria ed i sindacati. In attesa di una risposta dal governo centrale. Corsi e ricorsi storici in una terra carica di contraddizioni: la corsa alle assunzioni, nel 2011 e negli anni a venire, la protesta per i licenziamenti, oggi, vanno di pari passo, stranamente, con le proteste per la non gradita presenza degli immigrati in quelle lande. Gli agricoltori ed i braccianti protestavano perché qualche immigrato veniva assoldato per lavorare nei campi e la sua remunerazione era spesso nettamente inferiore a quella dei braccianti italiani. «Lavorano per dieci o venti euro – mi raccontò, tempo fa, una giovane donna –e mio padre, invece, è disoccupato e non trova lavoro». Difficile parlare della piaga del lavoro nero e del sistema dei controlli. Si sa che tanto sfugge spesso alle maglie.

Ma quelle parole risuonano oggi nelle mie orecchie, cariche di contraddizioni. Tra coloro che protestano in Prefettura forse c’è anche qualcuno di quei braccianti, o forse ci sono i loro figli, i fratelli!

Il Cara balzò agli onori della cronaca anche il 30 agosto 2015, quando due anziani coniugi, Vincenzo Solano di 68 anni e Mercedes Ibanez di 70, a Palagonia, vennero uccisi da Mamadou Kamara, ospite del Cara di Mineo. Una rapina finita male, lo stupro, le violenze. Un’ondata di indignazione attraversò il paese. Quella notizia fece il giro dei rotocalchi ben più che un’altra, avvenuta in quello stesso giorno a Napoli, in cui un immigrato era intervenuto eroicamente nel cuore di una rapina, rischiando la vita per salvare degli italiani.

Le notizie si accavallano, positive e negative. Il Cara chiude, portando con se il suo carico di contraddizioni. Quando nacque era un’anomalia nel sistema di accoglienza degli Sprar. Un unicum che non rientrava nei canoni previsti dai progetti.

Quando nacque qualcuno mise in guardia: il rischio che quelle quattrocento villette a schiera diventassero un ghetto era alto. La storia lo ha confermato. Ma quali logiche prevalsero in quel momento? Quelle degli affari, del grande business legato ad ambienti della politica, la speranza o l’illusione di un posto di lavoro in una terra dove il tasso di disoccupazione è altissimo?

Quali logiche prevalgono ora? La facile propaganda si innesca su un percorso comunque ormai segnato, la chiusura del cara era una necessità, chi conosce il complesso mondo dell’accoglienza sa che non sarebbe mai dovuto nascere. Ma oggi è più facile brandire come un trofeo la chiusura di un centro che per gli immigrati non è mai stata una casa di accoglienza, semmai di segregazione. Tra fili spinati e tempi lunghi per l’esame delle richieste dello status di rifugiati, il Cara era un grande mega parcheggio o un luogo di segregazione obbligata.

Non era il meglio per i migranti, ha dato qualcosa – e anche molto – alla Sicilia. Ha dato e ha tolto.

La storia di questi otto è carica di contraddizioni. Ma oggi tutto questo è facile da dimenticare.

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons