Cara lettrice, caro lettore…

Si può essere bravi architetti della notizia e avere nel contempo un ideale di vita? È cioè possibile perseguire un fine esistenziale e mantenere l’indispensabile libertà di giudizio? Credo sia possibile. Posso affermarlo dopo quasi 10 anni da direttore responsabile della rivista mensile e del sito quotidiano. Ora passo il testimone

Il giornalista vive il dramma di chi deve andare a fondo nella verifica delle notizie, ma deve anche rincorrere l’attualità.

Ma è proprio in tale ferita aperta che il professionista dovrebbe cercare il senso delle cose. Un architetto non ha mai campo libero, ha vincoli urbanistici per cubature, zone di rispetto, altezze, materiali. Il giornalista è un architetto della notizia: è limitato dalla veridicità da rispettare, dal contesto da conoscere, dalle affermazioni da giustificare, dalle lunghezze da non superare, dai generi letterari da seguire. Città Nuova è un organo di informazione che alla base ha un forte impianto ideale, il “carisma dell’unità” di Chiara Lubich e dei Focolari. Ma si può essere bravi architetti della notizia e avere nel contempo un ideale di vita? È cioè possibile perseguire un fine esistenziale e mantenere l’indispensabile libertà di giudizio? Credo sia possibile, a condizione che il fine sia un orizzonte che rispetta fatti e notizie; che la professionalità di chi lavora sia assicurata; che la dirigenza del gruppo ispiratore non si sostituisca ai giornalisti. Tutte condizioni rispettate a Città Nuova.

Posso affermarlo dopo quasi 10 anni da direttore responsabile della rivista mensile e del sito quotidiano. Ora passo il testimone. È bene che altri si cimentino nella battaglia quotidiana. C’è “un tempo per” e “un tempo per”, ammonisce l’Ecclesiaste. Continuerò, impegnato in nuove e affasciananti sfide, a portare il mio contributo ma dalla periferia (dal Libano), convinto che ormai «il centro sia la periferia», come suggerisce papa Bergoglio. In questi anni ho cercato, come architetto della notizia, di aprire la redazione alla complessità del presente in spirito dialogico, anche a costo di sembrare cerchiobottista (il dialogo è per noi valore inderogabile), o al contrario di osare piste non praticate (chi ha paura di scrivere qualcosa di scomodo non merita la qualifica di giornalista dialogante). Bisogna rischiare, non per la gloria effimera, ma per il vero, il bello e il buono. Nel nostro caso seguendo il Vangelo dell’unità. Credo che il corpo redazionale abbia declinato proprio questa parola, unità, in infiniti modi, per dar conto della varietà, della ricchezza e della pertinenza del suo discorso.

Ringrazio: Chiara Lubich che con Pasquale Foresi mi nominò direttore tre mesi prima di morire; Giordani, Lucarini, Boselli e Garagnani, i direttori che mi hanno preceduto; Gino Lubich, mio primo maestro di giornalismo; Giannino Dadda, Danilo Virdis e Stefano Sisti, susseguitisi come direttori generali, il CdA e tutta l’équipe del gruppo editoriale Città Nuova, in particolare Luca Gentile, direttore editoriale libri; i collaboratori che ho avuto modo di apprezzare a uno a uno; i lettori, cioè la grande famiglia di Città Nuova; tutti coloro che mi hanno dato fiducia nei Focolari, dall’attuale presidenza a chi mi ha accolto nei viaggi; amici e conoscenti, in campo mediatico, culturale ed ecclesiale, che non hanno mai mancato di offrirmi disponibilità e suggerimenti; i miei familiari, una certezza. Ringrazio soprattutto – e commosso – i colleghi della redazione che mi hanno rispettato, stimolato e sopportato. In particolare ringrazio colei a cui passo il testimone, Aurora Nicosia, con la quale abbiamo condiviso 19 anni di battaglie, rischi e aperture. Prendo su di me tutti gli errori commessi e chiedo scusa a coloro ai quali ho potuto creare problemi. Dio sa.

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