Caporalato, piano di contrasto alla prova

Il caporalato resta una piaga aperta. Siglato a luglio un protocollo d’intesa istituzionale mentre si promettono nuovi ispettori. Il punto della situazione sull’impegno del sindacato di strada nella video intervista con Jean René Bilongo, coordinatore dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil.
Caporalato, Cecilia Fabiano/ LaPresse

Si può combattere il caporalato senza avere gli strumenti necessari? Erano 267 gli ispettori nel 2019, e sono stati 246 nel 2020, l’anno del Covid, ma anche quello in cui si è registrato un aumento del 29% delle morti sul lavoro.

I dati del rapporto Inail 2020 presentato alla Camera dei deputati a luglio 2021 dovrebbero essere la base per le scelte conseguenziali richieste ad un legislatore attento, come ha detto il ministro del Lavoro Andrea Orlando nel commentare il rapporto, per il fatto che «chi lavora ha diritto a non essere lasciato solo, soprattutto da parte delle istituzioni; perché la vera tutela della salute si attua sempre dando dignità e valore a chi lavora».

Si attende, quindi, a breve l’inserimento nei ruoli della pubblica amministrazione di un numero adeguato di nuovi ispettori. Non solo presso l’Inail, ma anche in quello dell’Ispettorato nazionale del lavoro che ha un direttore capo fresco di nomina: il magistrato siciliano Bruno Giordano che si è distinto, come conferma positivamente Giovanni Mininni, segretario generale della FLAI Cgil, anche «per le sue battaglie contro il caporalato in agricoltura».

Se, infatti, il fenomeno del lavoro servile si estende ormai in diversi settori (dalla logistica ai servizi di cura, passando per l’edilizia e i trasporti) quello agricolo si conferma il più esposto con un tasso di irregolarità pari al 58%, secondo Mininni.

Proprio alla vigilia della dichiarazione dello stato di pandemia, a febbraio 2020 è stato approvata dal Tavolo Caporalato il Piano Triennale (2020-2022) che doveva sviluppare «la strategia nazionale di contrasto al caporalato ed allo sfruttamento lavorativo in agricoltura» che definisce più aree tematiche principali. Non solo prevenzione, vigilanza e repressione del fenomeno del caporalato, ma anche l’attenzione alla filiera produttiva agroalimentare e quindi ai prezzi dei prodotti agricoli. C’è poi la questione dell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, il capitolo dei trasporti, quello degli alloggi per i lavoratori stagionali senza tralasciare il reinserimento socio-lavorativo delle vittime di sfruttamento lavorativo.

Resta, infine, il nodo della “rete del lavoro agricolo di qualità”, che è un requisito promosso dalla legge 199 del 2016, ma non definito come obbligatorio per i fornitori che vogliono accedere ad un mercato ortofrutticolo altamente competitivo.

Le aree agricole da controllare sono molto vaste e certamente può risultare utile un sistema di droni a disposizione degli ispettori, ma l’obiettivo principale per un sindacato resta quello di incontrare le persone per sostenerle in un cammino di riscatto in grado di non lasciare da solo nessuno. Serve a poco denunciare se poi non si pone una barriera di protezione efficace contro le organizzazioni che sfruttano violentemente la manodopera.

Per questo è significativa il progetto Di.Agr.A.M.M.I. promosso dalla Flai Cgil in collegamento con il FAMI (Fondo europeo asilo, migrazione e integrazione) grazie al quale sono stati acquistati i furgoni necessari per un sindacato di strada intenzionato ad andare oltre l’emersione dell’irregolarità per offrire una vicinanza concreta ai braccianti sfruttati. Sono previsti dei «Piani di azione locali ai Piani di autonomia dei migranti» orientati all’inclusione socio-lavorativa al coinvolgimento delle imprese agricole di qualità.

Un programma avviato finora in 8 regioni del centro Nord Italia (Marche, Umbria, Lazio, Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte) e in fase di partenza per altrettanti regioni del centro Sud.

La sigla del progetto è un acronimo complesso, che risente del linguaggio dell’economia civile, ma rende il senso dell’iniziativa: Di.Agr.A.M.M.I. (Diritti in Agricoltura attraverso Approcci Multistakeholder e Multidisciplinari per l’Integrazione e il Lavoro giusto).

Un altro segnale positivo, da valutare comunque in base agli effetti che riuscirà a produrre, arriva dal  Protocollo d’intesa per la prevenzione e il contrasto dello sfruttamento lavorativo in agricoltura e del caporalato” siglato il 14 luglio dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, dal ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, dal ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Stefano Patuanelli, dal presidente del Consiglio Nazionale di Anci, Enzo Bianco, insieme all’Osservatorio Agromafie della Coldiretti, all’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, alla Fondazione Fai Cisl Studi e Ricerche e alla Fondazione Argentina Altobelli della Uila-Uil.

In base a tale protocollo le parti si impegnano, soprattutto quelle istituzionali, ad attivare presso le Prefetture, nell’ambito dei “consigli territoriali per l’immigrazione, un tavolo permanente che rilevi i bisogni e le criticità a livello locale per togliere le strutture dei caporali (“intermediazione illecita di manodopera”), offrire protezione ai lavoratori sfruttati per poi favorirne il reinserimento socio-lavorativo.

Un protocollo siglato nel pieno di un’ennesima estate torrida, dove i braccianti restano sottomessi alle condizioni e agli orari imposti dai loro “datori di lavoro”, nonostante le volenterose ordinanze degli enti locali che vietano di svolgere attività nelle ore più calde. Sono già note le prime morti per il caldo eccessivo e le condizioni di degrado in cui sono costretti a vivere troppi lavoratori della filiera agricola e questo richiede un intervento immediato delle istituzioni. A partire dall’allestimento di un alloggio decente nelle strutture sequestrate alla malavita organizzata.

Uno dei problemi dell’attuazione delle politiche pubbliche resta infatti quello dei tempi lunghi di realizzazione o dei rinvii imposti da soluzioni di compromesso. Ne è un esempio evidente il rinvio al 2025 dell’applicazione obbligatoria di quelle norme europee che impediscono l’erogazione dei finanziamenti previsti dalla nuova Pac (Politica agricola comune) alle aziende che non rispettano contratti collettivi e le normative sul lavoro.

Ma, più in generale, non si può non riscontrare l’assenza nei diversi tavoli di una rappresentanza della Grande distribuzione organizzata disposta ad impegnarsi nell’acquisto dei prodotti agricoli solo dalle aziende rientranti nella rete del lavoro agricolo di qualità. Una scelta che obbligherebbe a riconoscere il prezzo giusto ai fornitori, redistribuendo la ricchezza prodotta lungo tutta la filiera che parte dai campi e dalle serre.

Nella video intervista con Jean Renè Bilongo cerchiamo di fare il  punto della situazione sulla lotta al caporalato a partire dal protocollo d’intesa con le istituzioni. Bilongo, sindacalista camerunese della Flai Cgil, è il coordinatore dell’Osservatorio Placido Rizzotto che ha «il compito di indagare l’intreccio tra la filiera agroalimentare e la criminalità organizzata, con una particolare attenzione al fenomeno del caporalato e dell’infiltrazione delle mafie nella gestione del mercato del lavoro agricolo». L’Osservatorio è nato nel 2012, a pochi mesi dai funerali di Stato celebrati a Corleone dopo il ritrovamento dei resti di Rizzotto, sindacalista siciliano dei braccianti agricoli, ucciso, a 34 anni, dalla mafia siciliana nel 1948.

Bilongo, tra l’altro, è coautore (con Toni Mira, Giuseppe Gatti e Carlo Cefaloni) del testo “Spezzare le catene. Un lavoro libero tra centri commerciali e caporalato” edito da Città Nuova.

 

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