Capo di nuova speranza

È iniziata in Sudafrica la 29° edizione della Coppa delle Nazioni Africane, meglio conosciuta come Coppa d’Africa. Quattro gironi, sedici formazioni al via. La finale si giocherà domenica 10 febbraio a Johannesburg
Coppa d'Africa

È scoccata sabato 19 gennaio alle 18.00 l’ora della ventinovesima edizione della Coppa delle Nazioni Africane. A quell’ora sul campo dell’FNB Stadium di Johannesburg c’erano le nazionali di Capo Verde e Sudafrica, Paese ospitante. Si doveva giocare in Libia, ma a volte la storia nel continente nero scorre in fretta come il sangue, finendo per travolgere eventi, dittatori, epoche e regimi. Doveva esserci Gheddafi, invece oggi c’è un Paese in cerca d’identità. L’appuntamento con il calcio però non è cancellato, solo rinviato. La Libia ci sarà ancora, ma bisognerà aspettare il 2017 per coprire quel “buco” lasciato dalle pallottole e dal Sudafrica al quale è stato chiesto di vestire anticipatamente i panni del Paese organizzatore.

Doveva esserci il Camerun di Samuel Eto’o, ma il talento fuori misura non basta per sconfiggere la voglia di comandare uno spogliatoio e la tendenza di una federazione che gestisce in maniera poco chiara i soldi. A far fuori i “leoni indomabili” del Camerun ci hanno pensato il 14 ottobre 2012 gli “squali blu” di Capo Verde. 450 mila abitanti, quindici isole disposte a ferro di cavallo, situate a 570 chilometri dalle coste del Senegal e un mare da favola amato soprattutto dai surfisti: questo in poche parole Capo Verde, la più piccola nazione che si sia mai qualificata alla fase finale della Coppa D’Africa. Qui il calcio è un’istituzione solo dal 1982, anno di fondazione della Federação Caboverdiana de Futebol. I tesserati ufficiali sono 11.500, ma il volume totale dei praticanti sfonda il muro dei 35 mila, una cifra in continuo aumento anche grazie ad un efficace programma di sviluppo messo a punto dalla Fifa che ha puntato prima di tutto sull’educazione e la salvaguardia della salute per costruire poi nella capitale Praia il centro tecnico federale. Sporting Praia, Académica Fogo, Atlético Ribeira Brava, sono la traduzione in creolo di Juventus, Milan ed Inter, con l’unica differenza che spesso l’erba sui campi non cresce perché non “respira” a causa di un terreno vulcanico troppo duro.

Il successo di questo staterello affonda le radici in una storia fatta di schiavitù e sfruttamento. Nel XIV secolo i portoghesi colonizzarono Capo Verde perché la posizione strategica dell’arcipelago rappresentava un valido porto di approvvigionamento lungo le rotte commerciali verso l’America. «Il segreto del successo sta nella personalità dei capoverdiani che ogni giorno da generazioni sono abituati a lottare – ha dichiarato il presidente della federazione Mario Semedo al vigilia del debutto con il Sudafrica –. I nostri bambini iniziano a giocare a calcio in giovane età, sfidando condizioni difficili e sanno che il duro lavoro e la dedizione diventano doti fondamentali per emergere». Il futuro del calcio, quello vero, abita anche a Capo Verde e colora gli occhi del giovane e talentuoso attaccante Ryan Mendes che gioca in Francia con il Lille. Poi c’è lui, Lucio Antunes, il commissario tecnico. Uno che hai suoi ha ordinato di essere sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli trova ogni volta la forza di riprovarci. È andata proprio così. Doveva esserci qualcun altro al posto loro, ma la storia da queste parti parla anche di sorrisi e rivincite che rilanciano lo sport e un’intera nazione. Sudafrica-Capo Verde sabato scorso è finita zero a zero ed è già un altro pezzo di storia. Questo è il capo di nuova speranza.

 

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