Capitano, mio capitano
Il triplice fischio ?rrivato a sancire la fine della carriera di Paolo Maldini, campione indiscusso sul campo e nella vita.
In realtà Paolo Maldini il giro finale di pista lo merita appieno. Le ultime partite del capitano del Milan ricordano tanto gli ultimi passi stanchi del maratoneta che ha staccato tutti nei precedenti 42 chilometri. «Se da bambino – ha commentato il protagonista – mi fossi scritto una storia, la storia più bella che mi potessi immaginare, l’avrei scritta come effettivamente mi sta accadendo».
Parlare dei successi e della carriera di Paolo Maldini appare più retorico che utile, perché l’eccezionalità delle sue gesta è evidente a tutti; ma fa onore allo sport costatare che la storia calcistica di Maldini è sempre stata impregnata di valori autentici e inscalfibili. Allora il quarto di secolo di carriera di Paolo Maldini può rappresentare davvero un grande esempio per le nuove generazioni sportive e no.
Ha ragione chi sostiene che la vita vera non si impara sui campi di pallone e che la fedeltà ad una causa si prova nei momenti di difficoltà e lontano dai riflettori. In un Paese come il nostro, tuttavia, in cui il calcio ricopre un ruolo sociale di importanza non indifferente, gli esempi positivi che ne emergono sono energie positive che vanno sfruttate per una causa più ampia.
Chi può dire che le epiche imprese di Valentino Mazzola e dei suoi valorosi compagni del grande Torino, oppure quelle compiute in sella ad una bicicletta da Gino Bartali e da Fausto Coppi non contribuirono in parte a destare da un pericoloso sonno culturale l’Italia devastata dagli orrori della dittatura e della guerra? Paolo Maldini entra di diritto nel mondo delle leggende: di quelle che veicolano ancora qualcosa di genuino e incrollabile.
Paolo è il capitano di tutti. Nessun vero amante dello sport non può non riconoscere il valore di uno come lui. Nell’ambito della sua società viene definito il «capitano monumento», ma in realtà Paolo rappresenta un monumento alla categoria dei capitani. Non solo milanisti, non solo del calcio e neppure solo in ambito sportivo.
Il capitano, in fondo, è colui che si assume le responsabilità delle disfatte, che non cerca giustificazioni alle sconfitte, ma fatica e soffre con gli altri compagni verso i quali resta d’esempio.
È riduttivo considerare la carriera di Paolo Maldini come una lunga sequenza di vittorie o pensarlo solo come il migliore terzino sinistro del mondo. È l’uomo Maldini che fa la differenza. Le difficoltà in cui ha dimostrato di essere capitano per davvero non sono mancate. Chi potrà mai scordare il coraggio che dimostrò quando non fuggì alla malizia dei microfoni dopo l’imbarazzante 1-6 casalingo del 6 aprile 1997 contro la Juventus campione del mondo di Marcello Lippi?
È difficile immaginare un calcio senza l’eredità lasciata da un tale sportivo. Significative le parole del portiere Gigi Buffon, quando ricorda il suo debutto in serie A, proprio contro il Milan: «Io non ero molto a mio agio, ma mi ricordo ancora, che lui mi fece un sorriso quasi fraterno e mi disse: “In bocca al lupo, mi raccomando”. E lì si capisce lo spessore della persona».
Oppure quelle dell’ex commissario tecnico della Nazionale, ora allenatore del Napoli, nonché compagno di squadra di Paolo, Roberto Donadoni: «Quando uno più vecchio riesce ad apprendere qualcosa da uno più giovane, questa è la dimostrazione che il giovane è già un grande».
I numeri di Maldini sfiorano l’impossibile ma a chi indica come neo della sua carriera il fatto che non gli sia stato mai assegnato il Pallone d’oro, ripropongo le parole di un altro grande campione, Marco Van Basten che ricordò: «Avere ancora il fisico perfetto e una bella famiglia sono cose più importanti del pallone d’oro». E se lo dice lui…
Non si può altresì pensare che Paolo sia il prototipo della perfezione assoluta come ebbe a dire l’indimenticato Giacinto Facchetti che inventò il ruolo che fece la fortuna di Paolo: «L’unico difetto che si può trovare in Maldini è quello di aver giocato nel Milan…».
Così Paolo è entrato nello stadio per l’ultimo giro – deprecabili tra parentesi le contestazioni di uno sparuto drappello di tifosi (?) milanisti – con le ginocchia cigolanti, quarant’anni suonati, l’album dei ricordi gremito di amici, di colleghi e di giovani a cui lui ha trasmesso la più importante delle eredità: che si diventa campioni di sport se prima lo si è nella vita.
Viene in mente il film L’attimo fuggente, con Robin Williams, in cui gli alunni della classe di cui il protagonista era stato insegnante, al momento del saluto, si alzano e ripetono un verso di Walt Whitman: «Capitano, mio capitano…», che lui stesso aveva loro insegnato.
«Sono preparato da tempo alla mia uscita dal calcio», ha sottolineato recentemente Maldini. Per il futuro non ha ancora deciso nulla: «Prima una vacanza, al resto non ho ancora pensato. Comunque, so che mi cambierà la vita, perché non farò più quello che ho sempre amato fare».
Tanti record
Campione anche di longevità atletica – è nato il 26 giugno 1968 –, Paolo Maldini vanta un palmares ricchissimo: 25 stagioni nel Milan, 7 scudetti, 5 Coppe dei Campioni, 3 Coppe intercontinentali, 3 Supercoppe europee, 5 Supercoppe italiane, 1 Coppa Italia. In Nazionale ha debuttato a 19 anni, detiene il record di presenze (126 e 7 gol) e di gare con la fascia di capitano (74), è stato vice-campione del mondo nel 1994.