Capitano dell’Astana kazaka

Il siciliano, fresco vincitore del Tour de France, è il capitano di una squadra che intende far pubblicità al Paese centrasiatico
Astana

Abbiamo vibrato per il nostro Vincenzo Nibali, vincitore “alla Merckx” del Tour de France appena conclusosi. Non pochi si sono chiesti, senza peraltro ottenere risposta, che cosa significasse quel nome che appariva sulla maglietta dapprima azzurra e gialla poi tutta gialla del campione siciliano: Astana.

Ebbene, l'Astana Pro Team è un team di ciclismo su strada con licenza Uci, quindi può partecipare al calendario mondiale dell’Unione ciclistica internazionale. Ha di caratteristico che non è il nome di una ditta, ma della capitale stessa del Kazakhstan, Astana, città divenuta capitale per volere del presidente Nursultan Nazarbayev solo nel 1997. Aveva ancora il nome di Akmola, ma nell’anno successivo diventò Astana, che significa semplicemente “capitale”.

La squadra è in realtà sponsorizzata non da una ditta particolare ma da un consorzio delle maggiori aziende del Kazakhstan. È stata fondata nel 2007, dalle ceneri dello storico team spagnolo noto un tempo come Once, diretto da Manolo Saiz. Una nascita sospetta, perché la squadra di Saiz era stata implicata pesantemente nell’inchiesta doping chiamata Operacion Puerto.

Privata di licenza Uci, il consorzio delle cinque maggiori aziende energetiche del Paese centrasiatico aveva rilevato la squadra rinominandola Astana. Ci fu poi un passaggio per la svizzera, finché la squadra divenne totalmente kazaka. Ma i guai continuarono, per via della questione doping che riguardò suoi corridori come Contador e Vinokourov.

Poi le cose sono in cambiate, si spera definitivamente perché non ci vorrebbe ora una devastante ricaduta, soprattutto col cambio dei direttori sportivi.

Qui in Kazakhstan – mi trovo nella ex-capitale Almaty, centro culturale ed economico del Paese –, come dicevo, non si fa che parlare di Nibali.

Appena qualcuno capisce che sono italiano, pronuncia il nome fatidico “Nibali”. E la conversazione parte, e ci si trova in sintonia immediata.

Un giovane studente mi dice: «Noi qui in Kazakhstan abbiamo il timore di essere nel cono d’ombra della storia: né sovietici né indipendenti. Stiamo perciò cercando di trovare la nostra way of life e di farci conoscere nel mondo positivamente, per il petrolio ma anche per lo sport e la cultura.

La vittoria di Nibali è molto importante per tutti noi kazaki». Un imprenditore, invece, mi sottolinea la filosofia che sta alla base della squadra Astana: «Noi facciamo squadra. Più che valorizzare i singoli prodotti del nostro Paese, crediamo che si debba promuovere il nostro brand, il nome del Kazakhstan, nel mondo intero. In questo modo saremo conosciuti e potremo poi diffondere i nostri prodotti nel mondo».

Certamente la guida forte del presidente Nazarbayev, criticata da molti ma anche esaltata da non pochi osservatori, gioca molto in questa partita economico-culturale. «Ma noi kazaki siamo tutti convinti che l’unione fa la forza», mi spiega una madre di famiglia e imprenditrice nella moda.

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