Il capitalismo, il papa e l’Economia di Comunione

Francesco: «Bisogna puntare a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale». Il pontefice invita l’EdC a condividere il proprio lievito per costruire un sistema economico senza vittime e briganti

Nell’Aula Paolo VI, dopo una serie di interventi e testimonianze provenienti da diversi Paesi, è sceso un insolito silenzio di 25 minuti prima dell’incontro tra papa Francesco e oltre mille persone venute in rappresentanza del percorso di Economia di Comunione diffuso in molte parti del mondo. Quell’assenza di parole ha come dato voce alla moltitudine di storie racchiuse dentro quella sigla (EdC -Economia di Comunione) che resta ancora incomprensibile e contraddittoria per molti, come ha detto lo stesso Francesco. Il papa, invece, la conosce bene e la segue con interesse tanto da offrire concrete indicazioni di cammino a partire dalle storture del capitalismo come sistema economico dominante.

Gli economisti civili, a cominciare da Stefano Zamagni, sono sempre attenti a distinguere e salvare l’economia di mercato dal sistema capitalista, anche perché l’EdC fiorisce proprio dentro la normale dinamica del mercato generando l’inclusione dei poveri e rifiutando il culto idolatrico del denaro. Proprio su questa consapevolezza (condividendo i profitti dite «con i fatti al denaro: tu non sei Dio»), nel dialogo aperto con Francesco è emerso un tema ripreso spesso nell’argomentare di Luigino Bruni, economista coordinatore mondiale del progetto Edc, e cioè l’intuizione di Walter Benjamin della pretesa del capitalismo di presentarsi come una religione che richiede appositi culti e sacrifici.

Senza questa estrema e lucida percezione del tempo presente, ogni discorso su una diversa economia che si propone come alternativa a quella «che uccide» e produce “vite da scarto”, rischia di essere una proposta tollerata benevolmente perché irrealizzabile e fuori dalla storia. Oppure una proposta del genere può essere l’ennesimo tentativo rassicurante di dar vita ad una rete di imprenditori filantropi.

E, invece, questo movimento internazionale, dove convergono culture e tradizioni diverse tra loro, sfugge a molte categorie preconcette ma è segnato dall’urgenza di rispondere al grido di chi è escluso. La fondatrice dei Focolari, Chiara Lubich, lanciò questo progetto nel 1991 osservando dall’alto l’immensa baraccopoli delle favelas che cingevano i grattacieli della città di San Paolo del Brasile. Due anni prima, nel 1989,la stessa Lubich predisse che altre mura dovevano crollare dopo quelle di Berlino.

Ora Francesco, nel 2017, dice a questo popolo assai piccolo «se confrontato al grande capitale del mondo» che «non occorre essere in molti per cambiare la nostra vita: basta che il sale e il lievito non si snaturino». Non occorre la potenza della massa: «Tutte le volte che le persone, i popoli e persino la Chiesa hanno pensato di salvare il mondo crescendo nei numeri, hanno prodotto strutture di potere, dimenticando i poveri».

Ma per compiere questo passaggio bisogna saper rileggere la parabola del samaritano fuori dall’interpretazione corrente che loda il comportamento di colui che soccorre il prossimo ferito rimasto sulla strada e lascia del denaro all’albergatore perché lo curi.

Secondo Francesco «occorre agire soprattutto prima che l’uomo si imbatta nei briganti, combattendo le strutture di peccato che producono briganti e vittime».

Per questo motivo «l’Economia di Comunione, se vuole essere fedele al suo carisma, non deve soltanto curare le vittime, ma costruire un sistema dove le vittime siano sempre di meno, dove possibilmente esse non ci siano più. Finché l’economia produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, la comunione non è ancora realizzata, la festa della fraternità universale non è piena».

Una prospettiva adeguata all’EdC, una realtà in movimento che spesso ha usato la metafora della provvisorietà della tenda, e non del palazzo, per autodefinirsi.

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