Caos in Venezuela: rieletto Maduro, ma il vincitore sarebbe González Urrutia
La vittoria dell’amore contro l’odio, della pace contro la violenza, della sovranità del popolo contro gli interessi economici delle potenze straniere. Questa è la retorica scelta dal governo di Nicolás Maduro, erede della figura mitica di Hugo Chávez, per affermare la sua sempre più labile legittimità come presidente del Venezuela.
Tutto “quadra” nei discorsi del regime: i ritardi nella trasmissione dei dati elettorali e la mancata presentazione di risultati ufficiali sarebbero da attribuire a un attacco informatico originato in Macedonia del Nord (nessuna prova presentata, adducendo la necessità della segretezza) ideato, tra gli altri, dall’antichavista storico Leopoldo López e dalla leader della coalizione di opposizione María Corina Machado; il rifiuto del trionfo di Maduro sarebbe parte di un piano di destabilizzazione e incitamento alla violenza orchestrato e finanziato dagli Stati Uniti; le richieste di pubblicazione di risultati verificabili da parte di governi della regione ed oltre (tra cui Argentina, Usa, Ue, Germania, Spagna e Italia, oltre al segretario generale dell’Onu), intollerabile ingerenza politica dall’estero.
Nella stessa linea di ragionamento si iscrivono le revoche degli inviti a osservatori internazionali tra cui l’Unione Europea e l’ex presidente argentino – di sinistra – Alberto Fernández, e l’impedimento al decollo dell’aereo che stava per portare in Venezuela, dal Panama, alcuni ex presidenti invitati dall’opposizione. Tutti dichiarati “nemici del popolo venezuelano“. Con Argentina, Cile, Costa Rica, Perù, Panama, Repubblica Dominicana e Uruguay, il regime si è spinto sino all’espulsione dei rispettivi corpi diplomatici e al ritiro dei propri rappresentanti in quei Paesi.
Esistono tuttavia fatti difficili da negare. Sono tanti i video diffusi sui social da privati cittadini con le immagini dei risultati elettorali tratti dai computer dei seggi, rilevati in tutto il paese, compresi numerosi bastioni del chavismo, i cui numeri indicano una dilagante vittoria di Edmundo González Urrutia.
Lo stesso si può dire delle proteste a suon di pentole e coperchi – i “cacerolazos” – sorte spontaneamente in molti quartieri popolari, compreso quello del Cuartel de la Montaña, sede del quartiere generale della Milizia Nazionale Bolivariana creata da Chávez. Senza contare i filmati di minacce, intimidazioni e abusi anche da parte di militari contro gli osservatori elettorali dell’opposizione, o video che immortalano le minacce di incappucciati chavisti presso l’ambasciata argentina a Caracas, dove da mesi si sono rifugiati sei oppositori.
Eppure, sei ore dopo la chiusura dei seggi, le autorità elettorali controllate dal “chavismo-madurismo” hanno proclamato la vittoria di Maduro con il 51,2% contro il 44,2% di González Urrutia in base allo scrutinio dell’80% dei voti, presentando unicamente il totale dei voti e nessun tipo di documentazione, e incolpando di questo il citato attacco hacker. L’opposizione ha subito risposto in conferenza stampa che, avendo in proprio possesso copia del 40% degli stampati ufficiali delle votazioni – gli osservatori dei partiti hanno diritto ad averne copia – la pretesa vittoria di Maduro era “impossibile”. Di lì l’appello alle forze dell’ordine affinché assolvano al loro compito di protezione della Costituzione e delle istituzioni repubblicane. E, ai cittadini, di difendere pacificamente i loro diritti.
Ventiquattro ore dopo, Machado e González Urrutia hanno affermato: “abbiamo tra le mani i dati che dimostrano il nostro trionfo categorico e matematicamente irreversibile” ed hanno annunciato la pubblicazione in una apposita pagina web del 73,20% dei verbali, ottenuti in tutto il paese, sommando i quali González Urrutia avrebbe totalizzato 6.275.000 voti contro i 2.759.000 di Maduro. “Anche se i voti restanti fossero il 100% per Maduro, il risultato generale non cambierebbe”.
Ora si attende la risposta del Consiglio Nazionale Elettorale. Per i tecnici, il sistema elettorale venezuelano, tra i più affidabili al mondo perché a doppia modalità – elettronica e cartacea –, permetterebbe la consegna di risultati ufficiali dopo un’ora dalla chiusura dei seggi.
“Questo film l’abbiamo già visto”, ha affermato Maduro riferendosi ai presunti complotti internazionali. Quello che abbiamo già visto è l’alterazione dei risultati in elezioni in cui il “socialismo del XXI secolo” avrebbe perso, dicono dall’opposizione. Non nuove nemmeno le proteste, la repressione con lacrimogeni e proiettili (ci sono già diversi morti) e gli arresti arbitrari. Ma è la prima volta che esistono dati concreti della vittoria di un’opposizione unita e organizzata “in tutti i settori sociali e in tutto il paese”, come asserisce Machado, pre-candidata presidenziale eletta plebiscitariamente in seguito a elezioni primarie e proscritta senza giustificazione dal regime.
La novità è espressa da un indizio molto chiaro: almeno 5 statue di Hugo Chávez sono state abbattute dai cittadini in diverse zone del paese. Qualcuno ricordava episodi simili avvenuti dopo la caduta di Saddam Hussein, e persino dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica.
“Ci hanno tolto tutto, perfino la paura“. Questa frase, ormai quasi uno slogan, si concretizza nelle testimonianze di venezuelani e venezuelane che osano riprendere con i loro cellulari le prepotenze di funzionari governativi e che scendono in piazza nonostante tutto. Un’altra novità: poliziotti e militari che si rifiutano di reprimere i manifestanti, si auto-disarmano o si tolgono l’uniforme.
Nonostante la retorica della pace e dell’amore, le accuse senza fondamento e l’insulto predominano negli annunci del presidente e del procuratore generale Tarek William Saab, che ha annunciato indagini contro Maria Corina Machado ed altri leader oppositori.
Tre scenari appaiono possibili per gli analisti: proteste a oltranza, una maggiore pressione internazionale con crescenti sanzioni (con la speranza che il colombiano Petro o il brasiliano Lula possano in qualche modo mediare), e la prosecuzione di un esodo venezuelano che ha svuotato il paese di almeno 7,7 milioni di emigranti negli ultimi anni.
Al momento, si attende una prova di forza – speriamo pacifica – delle piazze, con le manifestazioni convocate a Caracas sia dal governo che dall’opposizione.
_
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
_