Canova gloria trevigiana
Negli anni Cinquanta-Sessanta del ‘900 a scuola si insegnava, sulla scia di Roberto Longhi, che Canova era un artista “nato morto”. Longhi era un grande studioso che faceva opinione, ma prendeva i suoi abbagli (un altro fu con Tintoretto).
Ma un altro storico dell’arte, Luigi Coletti aveva il coraggio nel 1957 di organizzare a Treviso (foto bellissime in mostra lo documentano) una rassegna sullo scultore che diede il via non ad una riabilitazione – Canova è più grande degli studiosi -, ma ad una conoscenza più autentica, e rispettosa, di un artista geniale.
Del resto, proprio a Treviso nel 1803 era iniziato il mito dell’enfant prodige che avrebbe avuto una enorme divulgazione: il piccolo Antonio, nella cucina dei conti Falier presso Asolo, avrebbe modellato con le sue mani un leone di burro. Di qui lo studio con lo scultore Torretto – tutt’altro che un epigono settecentesco – e poi l’andata a Venezia, Roma e la fama mondiale, conteso da Napoleone e Pio VII, la Russia e l’Inghilterra. Artista grande e diplomatico accorto, come colui che, dopo Waterloo, aveva fatto tornare in Italia molti capolavori sottratti dai francesi.
Certo che Canova è gloria trevigiana. Nato tra le pendici del Grappa a Possagno,dove è sepolto nel tempio da lui progettato, sobrio e tenace come quella gente, l’artista ha tenuto fede ad alcuni valori forti : l’amore alla patria, la dedizione al lavoro, la cortesia nei rapporti, la fede religiosa, la riservatezza nella vita privata.
La rassegna è da visitare perché davvero esauriente. Da una parte fa conoscere l’uomo. Medaglie, il calco della mano e del viso morente, i ritratti (Canova era calvo e si metteva le parrucche), le lettere – all’inizio un intreccio tra italiano e veneto -, e poi forse svelare qualche lato sentimentale dell’artista pudico come un ritratto insieme alla bellissima contessa trevigiana Marianna Angeli Pascoli. Ci fu una liason? Chissà, Canova e il fratello sacerdote Giambattista Sartori, furono riservatissimi su questo aspetto.
E poi le opere. Interessanti i gessi, provenienti daTrieste, con le scene della Danza dei figli di Alcinoo o della Morte di Priamo. Il Canova amante della musica, della danza e del teatro è ben rappresentato fra il tragico e il vaporoso, dove il confine tra storia, ideale e senso è sottile così come era nelle versioni di Amore e Psiche, sia quella dei due fanciulli “stanti” in un amore platonico e sia quella appassionata al Louvre, abbracciati.
È un brivido già romantico pur nelle belle forme: lo si nota pure nel Perseo vincitore, altro gesso, che doveva sostituire l’Apollo del Belvedere “rubato” dai francesi dal Vaticano. Fu una reinterpretazione nostalgica, forse un confronto, o meglio un dialogo tra due sensibilità vicine e lontane nel tempo. Così come accadde nella Venere canoviana in confronto con quella antica agli Uffizi che il pittore Francesco Hayez e poi altri interpretarono con senso romantico ben presto.
C’è infatti, sull’onda del Canova, un sentire tra classico e romantico che si diffonde in numerose opere in palazzi e chiese del Trevigiano, anche grazie al pittore Giambattista Canal: rivisitazione con l’affetto dell’antico.
La rassegna trevigiana che comprende nelle undici sezioni pure la pregevole esposizione delle foto del bassanese Mario Zonta delle opere canoviane – 40 scatti di intensa ed emotiva luce -, vede anche la serie delle incisioni dei lavori dell’artista, a cui egli teneva molto, oltre alla ritrovata musica di Rossini per la morte dello scultore nel 1822 (un autoimprestito, come egli usava) e alla pubblicistica in suo onore da parte della stampa trevigiana. Segno di un rapporto affettivo col Genio mai scomparso. Da non perdere.
Treviso, Museo Bailo. Fino al 25.9 (catalogo Antiga edizioni)